mercoledì 12 settembre 2012

Typewriter #6: Italia's Novel





Affezionati lettori di Bookcret,
continua la pubblicazione del libro intitolato: "Non c'è niente di cui aver paura, è solo amore". 
Se desiderate leggere il:
I Capitolo, schiacciate QUI
II Capitolo, schiacciate QUI

Buona lettura a tutti/e


III Capitolo

Lukas entrò sul bus 'Stoccolma est-Centro città' sfregando le suole delle scarpe da tennis nere e viola sulla pavimentazione di plastica senza alzare troppo le ginocchia, proprio come sua madre gli ripeteva sempre di non fare, fregandosene altamente del galateo e delle suole che poi si rovinavano, perché tanto lei non c'era.

"Maledizione"

pensò in silenzio una volta arrivato al primo posto libero

"Come al solito è tardi e ho dimenticato il pranzo! Ma come sei sveglio Lukas, eh? E adesso? Niente pranzo, non ho nemmeno una Corona."

In effetti era vero, niente soldi, niente di niente. Sperò almeno che qualche suo compagno, magari il vicino di banco John avesse qualcosa da fargli assaggiare, almeno per arrivare alle due senza crampi allo stomaco. Un flash back attraversò la mente del ragazzo; la sua memoria lo riportò, suo malgrado, a tre anni prima quando lui aveva quasi 11 anni, ma di mangiare non ne voleva proprio sapere, mai. I suoi genitori erano ancora sposati a quel tempo, ma non erano felici, anzi, erano più infelici che mai. Suo padre lo picchiava per ogni minima cosa, e sua madre non aveva un briciolo di forza per denunciarlo, temeva per lei e per Lukas, così tutto qullo che poteva fare era mettersi in mezzo, per tentare di evitare che Aken gli gonfiasse il viso e i polpacci, ma tutto quello che otteneva erano botte anche su di lei. Lukas aveva tentato in tutti i modi di allontanare il padre da casa, ma poi aveva erroneamente creduto che quello fuori posto non fosse il padre, ma lui. Provò in tutti i modi a non pesare sui genitori, ma niente, niente di niente era abbastanza, così pensò di riuscire a sparire, e se non poteva pesare poco umanamente parlando, poteva pesare poco materialmente parlando. Per i primi tempi fu semplice, quando era a scuola diceva di aver mangiato a casa e quando era a casa diceva di aver mangiato a scuola. Questa scusa però non durò abbastanza, sua madre si accorse che era dimagrito troppo e lo aveva portato dal pediatra, ma non era leggero come voleva lui. Voleva essere tanto leggero da non piegare il materasso sotto il suo peso, ma era inutile; ci provava e riprovava tutte le sere, andava su e giù per il letto della sua cameretta e si fissava i piedi. Il materasso si piegava sempre un po', e questo era insopportabile,esattamente com'era insopportabile il pediatra che lo aveva sottoposto a quella stupida dieta ingrassante. Doveva esserci un modo, ne era sicuro. Lo trovò due settimane dopo l'inizio della dieta, quando ormai aveva già riassimilato un chilo. Il modo era semplice, lo aveva letto una volta a scuola su una lettura che riguardava i disturbi alimentari. La gente affetta da questo genere di malattia mangia e subito dopo vomita, così che il nutrimento non ha il tempo di entrare in circolo nell'organismo.

"Lo posso fare anch'io"

queste parole pronunciate a voce alta in un giorno di Novembre, inginocchiato davanti al WC di casa sua gli avevano rovinato l'infanzia. Bulimia nervosa, prima questo termine neanche lo conosceva, e la sua vita era migliore. L'unica cosa che aveva ottenuto era che suo padre era andato completamente fuori di testa e un giorno lo aveva quasi ammazzato con un bicchiere da vino, così i suoi si erano separati. Questa era una cosa buona, ma Lukas si odiava quando pensava che molto ma molto probabilmente sarebbe successo anche senza il calvario e le sofferenze che aveva portato a tutti quelli che lo amavano ed al suo povero stomaco. Lukas si alzò dal sedile foderato di blu con uno scatto, e si accose troppo tardi che era sembrato un pazzo egli altri passeggeri, così si guardò in torno e cercò, cercò un pretesto per poter dire

"Non sono pazzo, tantomeno stavo pensando alla mia malattia, l'ho fatto perchè c'era un motivo"
la prima occasione gli si presentò un paio di secondi dopo, quando vide una donna sulla trentina, con una treccia nera ed un pancione enorme impacchettato in una maglia bianca con un fiocco turchese ricamento sopra. La fissò, e, con un sorriso più forzato che mai, le fece cenno che le stava cedendo il posto. La donna ringraziò calorosamente con un accento espanico, ma non face attempo a finire la frase che Lukas non c'era già più, era corso al secondo piano del bus e aveva chiesto un compasso a Connie, il ragazzo della sesta D dell'Istituto Letterario. "Non ho finito i compiti di geometria"

era stata la scusa banale. Appena il ragazzo gli porse l'oggetto, Lukas si difilò nella toilette di servizio, una di quelle che stanno nelle rulotte. Non riusciva ad aprire la confezione di platstica dove era riposto con cura il compasso e quando finalmente ci riuscì lo girò tra le dita, con le mani che gli tremavano, afferrò con impazienza la punta in ferro dell'arnese argentato e se la conficcò nell'indice della mano sinistra. Così si sentì vivo. Sentì il dolore e pensò che era guarito, che era tutto apposto. Poi ripensò a quello che faceva dopo ogni lezione di storia, si odiò e spinse la punta ancora un po' più a fondo.

Lukas estrasse la punta accuminata del compasso dal dito trattenendo un gemito di dolore. Osservò con soddisfazione la perla di sangue posata aggraziatamente sul dito indice. Afferrò il rotolo di carta appoggiato sul lavandino a riserva ormai quasi vuota e ne staccò due pezzi, uno per il suo dito e l'altro per il compasso di Connie. Non doveva assolutamente notare il sangue, non doveva restare niente, non un leggerissimo segno, niente. Ripose con cura il compasso nella custodia in plastica trasparente e lo riportò al compagno, facendo molta attenzione a non destare sospetti.

"Emh...grazie. Ma tu ti sei...insomma, ti sei fatto male?" chiese Connie fissandolo.

"...No, assolutamente no, perchè me lo chiedi?" Lukas non si aspettava quella domanda, lo aveva preso in contropiede...Eppure aveva pulito tutto perfettamente...Arrivato alla sua fermata abbassò il viso per afferrare la cerniera del giaccone, e capì. Una macchia di sangue imbrattava la divisa bianca e blu della scuola, e come se non bastasse la chiazza rossa era proprio sulla scritta 'Alfred Nobel'...Se ne stava lì, tanto irritante quanto viva a sbeffeggiarlo, a prendersi gioco di lui perchè non era nemmeno capace di farsi del male come si deve. Si abbottonò la pesante giacca nera fino al collo, così nessuno poteva vedere quanto era imbranato, almeno per un po', fino all'arivo a scuola. Appena mise piede nell'enorme giardino, non perse tempo, non si fermò come tutti i giorni a chiacchierare con i ragazzi dell' Istituto Letterario o con i suoi compagni di classe, si difilò immediatamente nel primo bagno disponibile, sempre quello con la scritta "Cesso" al posto di "Toilette", tanto lontano dal primo piano che se ti scappa la pipì muori sulle scale prima di arrivarci. Prese il lembo della camicia e lo sfregò con la mano, che intanto passava continuamente sotto l'acqua fredda. "Dài, dài...ma si può sapere che cosa ho fatto io nella vita? Non me ne va giusta una! Se mi vede il professore di svedese mi ammazza per aver sporcato la divisa...e a mamma che racconto? Perchè è sporca di sangue? Mi sono punto...Involontariamente mi sono fatto male con qualcosa. Ecco."

Mentre pensava ad una scusa ragionevole si accorse che poteva andare, la macchia eta talmente sbiadita da non vedersi quasi. Entrato in classe si sistemò sul banco, tra i saluti e le pacche dei compagni già arrivati. Più che sistemarsi lanciò lo zaino azzurro sul banco e se ne andò in corridoio, uno dei tanti corridoi che serpaggiavano lungo l'edificio, per mischiarsi con i compagni. Lo cercò con lo sguardo, una testa mora fra tante teste bionde e castano chiaro. Lo vide vicino alla porta di ingresso, il cuore gli batteva velocissimo, come ogni mattina.

"Andrès" lo chiamò, e questo si girò con il solito sguardo gioioso. Sembrava che non avesse mai problemi quel ragazzo, invece ne aveva, e molti, come avrebbe scoperto in seguito.

"Hei! Lukas! ¿Cómo está usted?"
"Estoy bien, muchas gracias!" I due ragazzi risero. Andrès veniva dal Brasile, e Lukas aveva imparato quelle due frasi in spagolo, per sentirsi un po' più vicino a lui. Era completamente cotto, ogni volta che si sentiva triste pensava al suo viso scuro e si rallegrava, perchè ogni volta gli veniva in mente che, anche se in modo diverso, erano molto più scuri i visi della gente svedese. Tra i due c'era un feeling speciale, un' intesa rara da trovare tra due ragazzi di quell'età. Lukas ed Andrès non si vergognavano,non avevano paura di quello che avrebbero potuto pensare gli altri . Si rifugiavano l'uno tra le braccia dell'altro quando ne avevano bisogno, un po' come de fidanzatini, ma questo era molto diverso...Era più puro, vero e speciale




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