lunedì 26 novembre 2012

Recensione, Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci

Amici lettori di Bookcret,
questo pomeriggio vorrei parlarvi di un libro che ho letto la settimana scorsa. Il romanzo narra la vicenda di una donna, abbandonata dal compagno che deve affrontare da sola la gravidanza.





Titolo: Lettera a un bambino mai nato
Autore: Oriana Fallaci
Editore: Rizzoli
Pagine: 131
Recensione eseguita da Ilaria











Trama:
Il libro è il tragico monologo di una donna che aspetta un figlio guardando alla maternità non come a un dovere ma come a una scelta personale e responsabile. Una donna di cui non si conosce né il nome né il volto né l'età né l'indirizzo: l'unico riferimento che viene dato per immaginarla è che vive nel nostro tempo, sola, indipendente e lavora. Il monologo comincia nell'attimo in cui essa avverte d'essere incinta e si pone l'interrogativo angoscioso: basta volere un figlio per costringerlo alla vita? Piacerà nascere a lui? Nel tentativo di avere una risposta la donna spiega al bambino quali sono le realtà da subire entrando in un mondo dove la sopravvivenza è violenza, la libertà un sogno, l'amore una parola dal significato non chiaro.

Recensione:
Il romanzo affronta con molta precisione il tema dell'aborto, dell'abbandono e della difficoltà di una singola donna ad affrontare da sola la gravidanza.
L'aborto, cioè l'interruzione della gravidanza, venne legalizzato in Italia  nel 1978 con la legge 194 e può essere spontaneo o volontario qualora la donna si sottometta a un intervento chirurgico. 
Non vi nascondo il fatto che io non sono d'accordo all'interruzione di una gravidanza. Ogni donna è libera di pensare ciò che meglio crede, me non possiamo ignorare il fatto che l'aborto volontario provoca la morte di un individuo, il cui cuore inizia a battere a partire dalla quarta settimana.
La donna protagonista del romanzo è una giornalista che resasi conto del suo stato interessante, inizia a valutare se portare a termine  o meno la gravidanza. A chiedersi se il concepimento sia un atto egoista o altruista. Se il costringere un bambino alla nascita, che dovrà affrontare i problemi della vita, l'illusione di una libertà fasulla e il rispetto di regole, leggi, codici, dogmi imposti da altri individui, sia indispensabile o meno. Una volta presa la decisione di portare a termine la gravidanza, la donna viene "obbligata" dal medico curante a giorni di riposo, poichè la crescita del feto non procede regolarmente. Nel momento in cui alla madre viene imposto prima il controllo sul corpo e poi sulla mente decide di ribellarsi e di intraprendere un viaggio lavativo che porterà necessariamente alla tragica inevitabile fine. La vicenda è autobiografica poichè la stessa Oriana Fallaci rimasta incinta del compagno Alexandros Panagulis, conosciuto con il diminutivo Alekos, subì un aborto spontaneo dal quale non riuscì più a riprendersi. Infatti, vittima di forti rimpianti, non ebbe mai figli.
La vicenda non si sa bene dove sia ambientata, sappiamo soltanto che la protagonista intraprende un viaggio lavorativo in un luogo non indicato. La narrazione ricopre un arco di tempo di circa tre mesi con dei vari flash back che ci aiutano a conoscere maggiormente la donna.
I personaggio principali, oltre alla madre sono anche il bambino, il medico curante e il compagno. Il bambino, a cui si rivolge la donna, pur non essendo presente fisicamente rimane un punto costante nella narrazione. Nella parte finale del racconto il feto acquista un corpo, pertanto assolve la madre dalla colpa di infanticidio ringraziandola per non averlo fatto nascere in un mondo fasullo, governato da ingiusti per i giusti. Il medico curante sarà ostile alla donna fin dall'inizio poichè sarà l'unico a sospettare  della maschera indossata dalla donna con la quale sostiene di desiderare il bambino. Un uomo duro spietato che non risparmierà alla madre critiche e accuse, condannandola di aver ucciso il suo bambino. Il compagno risulta essere un uomo fragile e insicuro. Inizialmente propone alla donna l'aborto chirurgico poi torna sui suoi passi cercando di aiutarla, ma forse è troppo tardi per riallacciare un rapporto. La donna dirà che quest'uomo non l'ebbe mai amato ma anche lei si ravvede sostenendo che "un uomo che accetta di farsi cacciare come lo cacciai io non è un uomo da buttar via". Il compagno come il medico l'accuserà di aver ucciso volontariamente il loro bambino.
Il linguaggio utilizzato è semplice e colloquiale caratterizzato da un monologo della madre verso il proprio bambino, insegnandoli le fasi basilari di un esistenza terrena. Condividendo con il figlio le gioie e i dolori, i rimpianti e le sofferenze, le riflessioni e le proprie credenze.
Il libro venne scritto come sfogo personale al dolore inferto all'autrice a causa della perdita del figlio. Ma tratta anche della difficoltà di una donna lavorativa a dover abbandonare il proprio stile di vita, per dedicarsi completamente alla maternità. Il romanzo affronta inoltre le innumerevoli distinzioni tra uomo e donna, infatti, non dobbiamo dimenticare che il libro venne scritto e pubblicato da Rizzoli nel 1975, anno in cui ancora alle donne non era permessa la libertà che vi è ora. Donne costrette a sottostare al volere degli uomini, a inserirsi in una società abietta e maschilista, meschina e fasulla, dittatrice e moralista . Il cui mondo fu creato dagli uomini per gli uomini.
Ho apprezzato il libro per le descrizioni dettagliate di ogni riflessione. Mi ha colpito particolarmente la distinzione tra i sessi, elencandone i pro e i contro di ogni esistenza. Il finto processo è stato originale ed mostra in maniera molto evidente il dolore di una donna che uccise involontariamente il proprio bambino.
Consiglierei il libro a chiunque, uomo e donna che sia, ragazza e ragazzo poichè è un romanzo che utilizza un linguaggio alla portata di tutti e affronta la questione dell'aborto che ancora oggi preoccupa il mondo, provocandone discussioni accese e la divisione della popolazione tra i favorevoli e i contrari.




"Nel mondo in cui ti accingi ad entrare, e malgrado i discorsi sui tempi che mutano, una donna che aspetta un figlio senza esser sposata è vista il più delle volte come una irresponsabile. Nel migliore dei casi, come una stravagante, una provocatrice. O un'eroina. Mai come una mamma uguale alle altre".