venerdì 8 febbraio 2013

Recensione: 3096 giorni di Natascha Kampusch


Salve a tutti carissimi lettori,
quest'oggi vorrei parlarvi del romanzo di Natascha Kampusch, “3096 giorni”.
Ricorderete vagamente di aver sentito sui notiziari la drammatica vicenda di questa ragazza rapita alla tenera età di dieci anni, e che dopo 8 anni di maltrattamenti, ingiustizie, traumi e percosse riuscì a scappare dal suo aguzzino. Ora con questo libro cerca di chiudere il capitolo più doloroso della sua vita a guardare avanti, con la convinzione di essere veramente libera.



 
Titolo: 3096 giorni
 
Autore: Natascha Kampusch
 
Editore: Bompiani
 
N. pagine: 295
 
Recensione eseguita da Ilaria
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Trama:
Natascha Kampush ha dieci anni quando viene rapita. Troverà la libertà dopo 3096 giorni, oltre otto anni dopo, riuscendo a fuggire dall'appartamento in cui veniva segregata. Il rapitore, disperato per l'abbandono, si suicida. Il loro non era, infatti, un "semplice" rapporto di violenza e sottomissione. Tutta la lunga prigionia alterna momenti di violenza a momenti di tenerezza. Il rapitore vede crescere Natascha, la vede trasformarsi da bambina a ragazza. Le concede a un certo punto di uscire dalla cantina in cui era rinchiusa, per salire nell'appartamento di lui e farsi un bagno, talvolta invitandola nel suo letto per avere affetto e tenerezza, ma poi la picchia e la umilia, arrivando a negarle il cibo. L'atteggiamento dell'uomo (che per altri versi le concede di disegnare, di usare il computer) è simile a quello del mitico Pigmalione, disgustato dalle donne reali e deciso a costruirsene una perfetta con le proprie mani. Il loro lungo rapporto va avanti così per più di otto anni: Natascha riesce evidentemente ad avere un ascendente su di lui, in un rapporto di dipendenza reciproca che gli psichiatri conoscono. Fino a che Natascha, dopo molte riflessioni, decide di "abbandonarlo" e di fuggire, trovando finalmente la libertà e, lentamente, una sua nuova vita. Quasi normale.
 
 
 
Recensione:
Natascha ha dieci anni e vive insieme alla sua famiglia a Vienna. È una bambina paffutella, per non dire grassa. Ignara del pericolo imminente e convinta di non essere il tipo di bambina che sembrano preferire i rapitori, si reca a scuola da sola. Esce dal palazzo in cui abita, svolta l'angolo per dirigersi verso l'edificio, e sul suo cammino incontra Wolfgang Priklopil. Il rapitore.
Ha inizio così la prigionia di Natascha che durò per ben 3096 giorni.
La vicenda è ambientata in una piccola provincia di Vienna, Strasshof, dove si trova la casa del rapitore. Nella quale Natascha visse i suoi anni di prigionia.
Natascha si descrive nelle prime pagine come una bambina insicura, triste, con problemi familiari,abbandonata a sé stessa, senza autostima che causa continuamente fastidi agli adulti. Quella stessa bambina, dovette rapportarsi con il suo rapitore che cercò in ogni modo di sottometterla, umiliarla e controllarla. Natascha con la sua forza, la sua autonomia è riuscita a non piegarsi al suo volere, rimanendo costante, sicura e decisa. Un pugno per lei era un motivo per combattere. Un calcio un motivo per rialzarsi. Una privazione, come il cibo, era un motivo per sperare, credere in una possibile salvezza. Nei suoi anni di prigionia Natascha ha creato con Priklopil un legame indissolubile, ancora oggi presente, poiché dai reporter e dalle critiche mossole non si riesce a capire perché a distanza di tempo Natascha senta il dovere di tornare in quella casa, pulirla e riordinarla. Il legame, all'ora si basava sull'avere e sul dare, sul ricevere e sopportare. Natascha oggi ricorda il rapitore come un uomo insicuro, con gravi problemi psichici, rabbioso, solo, ma al tempo stesso fragile che desiderava come tutti una persona alla quale potersi stringere e fidare. La ragazza tiene in modo particolare a precisare che nonostante il rapitore abbia abusato di lei dall'età di quattordici anni, Priklopil non era un a bestia crudele, come lo hanno descritto i giornali dopo la sua fuga, ma una persona desiderosa d' affetto. Priklopil era un uomo estremamente violento, con problemi mentali evidenti, desideroso di governare nel piccolo luogo della sua casa quella piccola creatura che aveva rapito in giovanissima età. Una persona facilmente turbabile e suscettibile, capace di grande atrocità come colpire una bambina di quattordici anni al ginocchio con un coltello da cucina, ma solidale e attento nei confronti di una bambina di soli dieci anni spaventata e sola, desiderosa di conforto. Spesso gli psicologi che hanno seguito il caso, hanno accusato nel comportamento di Natascha la sindrome di Stoccolma. Il termine fu coniato dopo una rapina a una banca di Stoccolma, nel 1973. Per cinque giorni i rapitori tennero in ostaggio quattro impiegati. Con stupore dei media, al momento della liberazione, ci si accorse che gli ostaggi avevano più paura della polizia che dei rapinatori, e che avevano assoluta comprensione di questi ultimi. Alcune delle vittime chiesero pietà per i rapinatori e fecero loro visita in prigione. Natascha oggi si oppone con tanta veemenza a farsi attribuire questa etichetta poiché essendo stata rapita, privata della propria famiglia, dell'identità, Priklopil divenne di conseguenza la sua famiglia. Come lei ci spiega, non aveva alcuna possibilità se non accettarlo come tale e ad imparare a gioire delle sue attenzioni, rimuovendo tutto il negativo.
Natascha nel raccontarci la sua prigionia usa un linguaggio molto semplice, colloquiale, di facile comprensione. Uno stile, potremo dire, “schietto” senza mezzi termini. Ci espone con chiarezza le sue sofferenze, le percosse, il dolore subito come stesse parlando di un'altra persona e lei fosse uno spettatore incuriosito. Spesso risulta ripetitiva nel voler mettere in evidenza il fatto che lei non si sia mai piegata al volere del rapitore, e che Priklopil fosse prima di tutto un uomo, e non una bestia. Nonostante questo la lettura è scorrevole e molte parti lasciano l'amaro in bocca. Scoprire che una singola bambina dovette sopportare simile atrocità, farebbe suscitare le ire di chiunque e scoprire che la stessa vittima riuscì a perdonarlo, accese ancora di più gli animi. Ma bisogna accettare la decisione e non criticarla. Poiché grazie al perdono ora Natascha può guardare al futuro. Chiudere il capitolo più difficile e cupo della sua vita. Avere la convinzione di essere stata abbastanza forte da liberarsi e di saper destreggiarsi anche nella vita in libertà.
Avendo letto questo libro e avendolo apprezzato notevolmente non posso far altro che consigliarlo.

Un documento storico del rapimento più lungo della storia recente.



"I want once more in my life some happiness
and survive in the ecstasy of living
I want once more see a smile and laughing for a while
I want once more the taste of someone's love"



Estratto I Capitolo: Un fragile mondo
                                   La mia infanzia alla periferia di Vienna