Tutto in quel posto mi urlava che ero dove non dovevo essere. Le scale erano malandate, gli spettatori pigiati spalla a spalla scalmanati, e l’aria puzzava di sudore, sangue e muffa. L’atmosfera si fece del tutto confusa quando i presenti cominciarono a gridare nomi e numeri, ad agitare le braccia, a scambiarsi denaro in mezzo al baccano. Mi feci largo tra la folla tallonando la mia migliore amica.
«Tieni i soldi nel portafoglio Abby!» mi gridò America. Il suo sorriso brillava persino nella luce fioca.
«Stammi vicino! Quando inizierà, sarà peggio!» urlò Shepley per sovrastare il baccano. Guidandoci in quella marea di gente, America afferrò prima la sua mano e poi la mia.
Il gemito acuto di un megafono squarciò l’aria fumosa. Quel suono mi spaventò e sussultai, cercandone la fonte. Un ragazzo in piedi su una sedia di legno teneva un rotolo di banconote in una mano e il megafono nell’altra. Lo avvicinò di nuovo alle labbra.
«Benvenuti al bagno di sangue! Se state cercando Economia 101... siete nel posto sbagliato! Ma se cercate il Cerchio, questa è la Mecca! Io sono Adam, stabilisco le regole e do inizio all’incontro. Le scommesse si chiudono quando gli avversari scendono in campo. È proibito toccare i lottatori, prestare soccorso, cambiare la posta in gioco e invadere il ring. Se infrangete queste regole, vi faremo sputare l’anima, vi cacceremo a calci in culo e ci terremo i vostri soldi. Vale anche per voi, signore! Perciò, ragazzi, non usate le vostre troiette per imbrogliare!»
Shepley scosse la testa. «Gesù, Adam!» gridò, disapprovando la scelta di parole dell’amico.Il cuore mi batteva forte nel petto. Con il mio cardigan rosa di cachemire e gli orecchini di perle mi sentivo come un’educanda su una spiaggia di nudisti. Avevo promesso ad America che avrei affrontato qualsiasi cosa mi fossi trovata davanti, ma in quel momento provai l’impulso di aggrapparmi al suo braccio sottile come uno stecchino. Non mi avrebbe mai messa in pericolo, ma mi trovavo in un seminterrato con una cinquantina di studenti ubriachi, assetati di sangue e di soldi, e non ero del tutto certa che ne saremmo usciti illesi.
Da quando America aveva conosciuto Shepley all’orientamento matricole, lo accompagnava spesso agli incontri clandestini negli scantinati della Eastern University. Si tenevano sempre in luoghi diversi, che restavano segreti fino a un’ora prima dell’inizio. Di solito frequentavo ambienti più tranquilli, e l’esistenza del mondo sotterraneo della Eastern mi sorprese. Shepley invece lo conosceva ancora prima di iscriversi: Travis, suo compagno di stanza e cugino, combatteva da sette mesi. Correva voce che da matricola fosse stato il pugile più temibile che Adam avesse visto nei tre anni di vita del Cerchio. All’inizio del secondo anno Travis era ormai imbattibile, e con le vincite lui e Shepley pagavano agevolmente affitto e bollette.
Adam portò ancora il megafono alla bocca, mentre le urla crescevano a dismisura: «Stasera abbiamo un nuovo sfidante! L’astro della lotta Marek Young!».
Seguì un’ovazione e all’ingresso del ragazzo la folla si divise come il mar Rosso, creando un cerchio tra fischi e provocazioni. Marek saltellava, flettendo il collo con aria seria, concentrata. Il vociare del pubblico si placò fino a diventare un sordo boato, poi dalle grandi casse collocate all’altro capo del locale si riversò una musica assordante e io mi tappai le orecchie.
«Il prossimo contendente non ha bisogno di presentazioni ma, siccome mi fa una paura fottuta, lo presenterò lo stesso! Ragazzi, tremate, ragazze, attente alle mutandine! Ecco che arriva Travis “Mad Dog” Maddox!»
Il frastuono salì alle stelle non appena Travis comparve sulla soglia. Fece il suo ingresso a torso nudo, rilassato e impassibile. Avanzò con disinvoltura fino al centro del Cerchio, toccò con i pugni le nocche di Marek e i suoi muscoli sodi guizzarono sotto la pelle tatuata. Si protese in avanti e sussurrò qualcosa all’orecchio dell’avversario, che faticò a mantenere l’espressione severa. I due combattenti, vicinissimi, si guardarono negli occhi: lo sguardo di Marek era truce, mentre Travis sembrava vagamente divertito.
Arretrarono di qualche passo e Adam diede il segnale al megafono. Marek si mise in guardia e Travis attaccò. Quando la folla mi bloccò la visuale, mi alzai in punta di piedi e mi spostai di lato per riuscire a vedere qualcosa. Pian piano, mi feci strada nella calca urlante. Tra spallate e gomitate nei fianchi, fui scagliata di qua e di là come la pallina di un flipper, ma scorsi le teste dei due avversari e continuai.
Raggiunta la prima fila vidi le braccia robuste di Marek afferrare Travis, cercando di gettarlo a terra. Nel momento in cui si chinò, Travis gli diede una ginocchiata in faccia e attaccò prima che potesse riprendersi, bersagliandogli di pugni il volto insanguinato.
In quell’istante, venni strattonata all’indietro.
«Che diavolo combini Abby?» disse Shepley, con le dita strette saldamente attorno al mio braccio.
«Là dietro non vedevo nulla!» gridai.
Mi girai mentre Marek tirava un pugno poderoso. Travis si voltò e per un attimo pensai che lo avesse solo schivato, invece fece una rotazione completa su sé stesso e colpì con il gomito il centro esatto del naso dell’avversario. Il sangue mi schizzò addosso e m’imbrattò il viso e il cardigan. Marek crollò a terra con un tonfo e per un breve istante nella stanza calò un silenzio totale.
Adam gettò un panno scarlatto sul corpo inerte e la folla esplose in un boato. Il denaro passò di nuovo di mano in mano, e sui volti dei presenti comparvero espressioni diverse, alcune compiaciute, altre deluse.
Nel trambusto generale venni spintonata. Alle mie spalle America mi chiamò, ma ero ipnotizzata dalla striscia rossa sui miei vestiti, che andava dal petto alla vita.
All’improvviso la mia attenzione fu attirata da un paio di pesanti stivali neri. Alzai lo sguardo: jeans sporchi di sangue, addominali perfettamente scolpiti, un petto nudo tatuato madido di sudore e intensi occhi castani. La folla mi spinse in avanti e Travis mi afferrò appena prima che cadessi.
«Ehi! State lontani da lei!» gridò accigliato, allontanando a spallate chiunque mi si avvicinasse. Alla vista del mio cardigan la sua espressione corrucciata si distese in un sorriso. «Mi dispiace per il sangue, Pigeon», esclamò, pulendomi il viso con un asciugamano.
Adam gli diede uno schiaffetto sulla nuca. «Forza, Mad Dog! La grana ti aspetta!»
Travis non distolse lo sguardo da me. «È un vero peccato per la maglia, ti dona.» Un attimo dopo fu inghiottito dai fan e scomparve.
«Cosa credevi di fare, idiota?» urlò America tirandomi per un braccio.
Sorrisi. «Sono venuta a vedere un incontro, no?»
«Non dovresti neanche essere qui Abby», mi rimproverò Shepley.
«Neanche America.»
«Lei non ha cercato di entrare nel Cerchio!» ribatté cupo. «Andiamo.»
America mi sorrise e mi tolse le ultime tracce di sangue dalla faccia. «Sei una vera rompiscatole Abby. Dio, quanto ti voglio bene!» Mi cinse le spalle e insieme risalimmo le scale, uscendo nella notte.
America mi seguì allo studentato e sogghignò alla vista della mia compagna di stanza, Kara. Mi tolsi subito il cardigan insanguinato e lo gettai nella cesta dei panni sporchi.
«Che schifo. Dove sei stata?» chiese Kara dal letto.
Guardai America, che si strinse nelle spalle. «Sangue dal naso, a Abby capita spesso. Non lo sapevi?»
Lei inforcò gli occhiali e scosse la testa.«Be’, adesso lo sai.» Mi fece l’occhiolino e chiuse la porta dietro di sé. Meno di un minuto dopo, il mio cellulare vibrò. Come al solito, America mi aveva mandato un messaggio pochi secondi dopo avermi salutato.
Sto da shep a dom regina del ring
Gettai un’occhiata a Kara, che mi fissava come se da un momento all’altro mi dovesse sgorgare un torrente di sangue dal naso.
«Stava scherzando», esclamai.
Annuì con indifferenza e abbassò lo sguardo sul marasma di libri sparsi sul copriletto.
«Penso mi farò una doccia», dissi afferrando un asciugamano e la trousse da bagno.
«Avvertirò la stampa», rispose impassibile, tenendo la testa bassa.
L’indomani Shepley e America mi raggiunsero per pranzo. Avrei voluto mangiare da sola ma, man mano che gli studenti affluivano in mensa, le sedie attorno a me vennero occupate dai membri della confraternita di Shepley o dai giocatori di football. Alcuni erano stati all’incontro, ma nessuno accennò alla mia esperienza a distanza ravvicinata dal ring.
«Shep», chiamò qualcuno.
Lui rispose con un cenno. Voltandoci, America e io vedemmo Travis che si sedeva in fondo al tavolo. Era accompagnato da due voluttuose bionde tinte con la maglietta della Sigma Kappa. Una gli si sedette in grembo, l’altra al suo fianco e cominciò a palpargli la T-shirt.
«Sto per vomitare», bofonchiò America.
La bionda in braccio a Travis si girò. «Ti ho sentita, stronza.» America afferrò il suo panino e lo lanciò, mancando per un soffio il volto della ragazza. Prima che questa potesse ribattere, Travis abbassò le ginocchia, facendola cadere a terra.
«Ahia!» strillò lei.«America è mia amica. Trovati altre due ginocchia su cui sederti, Lex.»
«Travis!» frignò mentre si rimetteva in piedi.
Lui non rispose e si concentrò sul suo piatto. Lex allora guardò l’amica sbuffando, e un attimo dopo tutte e due si allontanarono tenendosi per mano.
Travis ammiccò ad America. Poi, come se niente fosse accaduto, addentò un altro boccone, si scambiò un’occhiata con Shepley e iniziò a parlare con un giocatore di football che gli sedeva di fronte. Fu allora che notai un piccolo taglio sul suo sopracciglio.
Anche se molti avevano già lasciato il tavolo, America, Shepley e io ci attardammo a discutere dei progetti per il fine settimana. Travis fece per andarsene, ma poi si fermò con noi. Lo ignorai il più a lungo possibile ma, quando alzai lo sguardo, notai che mi stava fissando.
«Come dici?» chiese a voce alta Shepley portando la mano all’orecchio.
«La conosci, Trav. È la migliore amica di America. L’altra sera era con noi», aggiunse.
Travis mi rivolse quello che immaginai fosse il sorriso più affascinante del suo repertorio. Con i capelli castani cortissimi e gli avambracci tatuati, emanava sesso e ribellione. Vedendo che tentava di sedurmi, alzai gli occhi al cielo.
«Da quando hai una migliore amica, Mare?» chiese.
«Dal terzo anno delle superiori», rispose lei sorridendomi. «Non ricordi, Travis? Le hai rovinato la maglia.»
Lui ghignò. «Ho rovinato parecchie maglie.»
«Disgustoso», borbottai.
Travis girò la sedia vuota al mio fianco e si sedette appoggiandovi sopra le braccia. «Pigeon, giusto?»
«No», ribattei secca. «Ho un nome.»
Il modo in cui lo guardavo sembrò divertirlo, il che servì solo a farmi infuriare di più.
«Be’? Qual è?» domandò.
Addentai l’ultimo pezzo di mela nel piatto, in silenzio.«Ti chiamerò Pigeon, allora», osservò con una scrollata di spalle.
Guardai America, poi mi girai verso Travis. «Sto cercando di pranzare.»
Lui raccolse prontamente la sfida. «Sono Travis. Travis Maddox.»
«So chi sei», risposi con un tono di sufficienza.
Inarcò il sopracciglio ferito. «Lo sai, eh?»
«Non montarti la testa. È difficile non notarti quando cinquanta ubriachi urlano il tuo nome.»
Si raddrizzò leggermente. «Lo fanno spesso.» Alzai di nuovo gli occhi al cielo e lui ridacchiò. «Hai un tic?»
«Un che?»
«Un tic. Continui a muovere gli occhi.» Lo guardai furiosa e lui esplose in un’altra risata. «Però sono occhi incredibili. Di che colore sono, grigi?» domandò avvicinandosi al mio viso.
Fissai il piatto, lasciando che i miei lunghi capelli color caramello creassero una barriera tra noi. Il modo in cui mi faceva sentire quand’era così vicino mi infastidiva. Non volevo essere come tutte le altre ragazze della Eastern, che arrossivano in sua presenza. Non volevo assolutamente lasciarmi condizionare.
«Non pensarci neanche, Travis. È come se fosse mia sorella», lo ammonì America.
«Tesoro», osservò Shepley, «gli ha appena detto di no. Adesso chi lo ferma più?»
«Non sei il suo tipo», ribatté lei, cercando di prendere tempo.
Travis si finse offeso. «Io sono il tipo di tutte!»
Lo guardai di sottecchi e sorrisi.
«Ah! Un sorriso. In fondo, non sono uno sporco bastardo», esclamò ammiccando. «È stato bello conoscerti, Pidge.» Girò attorno al tavolo e sussurrò qualcosa all’orecchio di America.
Shepley gli tirò una patatina fritta. «Stai alla larga dall’orecchio della mia ragazza, Trav!»
«Sono una persona socievole, lo sai!» Travis indietreggiò, sollevando le mani con aria innocente.
Alcune ragazze lo seguirono ridacchiando cercando di attirare la sua attenzione. Lui aprì loro la porta e quelle per poco non urlarono di gioia.
America scoppiò a ridere. «Sei nei guai, Abby.»
«Cosa ti ha detto?» domandai sospettosa.
«Vuole che la porti da noi, vero?» disse Shepley. America annuì e lui scosse la testa. «Sei una ragazza sveglia, Abby. Ti avverto: se ci caschi e finisci per perdere la testa, non prendertela con me e America, d’accordo?»
Sorrisi. «Non ci cascherò, Shep. Ti sembro forse una di quelle oche bionde?»
«Non succederà», lo rincuorò America toccandogli il braccio.
«Non è la prima volta, Mare. Sai quante volte mi ha incasinato la vita? Seduce e abbandona la “migliore amica” di turno, e d’un tratto frequentarmi diventa un conflitto di interesse, perché significa fraternizzare con il nemico! Abby, ti avverto», aggiunse rivolto a me. «Non ti azzardare a proibire a Mare di uscire con me solo perché ti sei lasciata abbindolare da Trav. Considerati avvisata.»
«Apprezzo il consiglio, ma è superfluo», risposi. Cercai di rassicurarlo con un sorriso, anche se sapevo che quel pessimismo nasceva da anni di scottature subite a causa di Travis.
America mi salutò allontanandosi con Shepley e io afferrai lo zaino, avviandomi in aula per la lezione pomeridiana. Socchiusi gli occhi alla luce intensa del sole. La Eastern era proprio come avevo sperato, con le sue classi piccole e tutti quei volti sconosciuti. Per me era un nuovo inizio. Potevo finalmente camminare senza essere circondata dai mormorii di chi conosceva, o pensava di conoscere, il mio passato. Mi confondevo in mezzo alle altre matricole studiose e un po’ ingenue. Niente occhiate di sottecchi, niente pettegolezzi, niente pietà né giudizi. Solo l’illusione che desideravo vedessero: una Abby Abernathy normale e vestita di cachemire.Posai lo zaino a terra e mi lasciai cadere sulla sedia, quindi mi chinai per prendere il laptop. Quando mi risollevai, vidi Travis che si era infilato nel banco accanto.
«Bene. Puoi prendere appunti per me», esordì. Masticò la penna che aveva in bocca e sfoderò di nuovo il suo sorriso più seducente.
Lo guardai indignata. «Tu non segui questo corso.»
«Certo che lo seguo. Di solito mi siedo lassù», rispose indicando con un cenno la fila più in alto. Un gruppetto di ragazze mi stava fissando e notai una sedia vuota in mezzo a loro.
Avviai il computer. «Non prenderò appunti per te.»
Lui si chinò avvicinandosi tanto da farmi sentire il suo respiro sulla guancia. «Scusami, ti ho offeso in qualche modo?»
Sospirai e scossi la testa.
«Allora qual è il problema?»
Tenni la voce bassa. «Non ho intenzione di venire a letto con te. Lascia perdere.»
Un sorriso si allargò sul suo volto. «Non ti ho chiesto di venire a letto con me.» Spostò pensieroso lo sguardo sul soffitto. «Giusto?»
«Non sono una delle tue ammiratrici», dissi osservando le ragazze alle nostre spalle. «I tatuaggi, il fascino infantile e la finta indifferenza non fanno colpo su di me, perciò puoi smetterla con le buffonate, okay?»
«Okay, Pigeon.» Di fronte alla mia scortesia restò fastidiosamente impassibile. «Perché stasera non vieni da noi con America?» Sogghignai alla richiesta, ma lui si avvicinò di più. «Non sto cercando di scoparti, voglio solo frequentarti.»
«Scoparmi? Ma come fai a portartele a letto se parli così?»
Lui scoppiò a ridere e scosse la testa. «Vieni e basta. Non flirterò nemmeno, lo giuro.»
«Ci penserò.»
In quel momento entrò il professor Chaney e Travis si concentrò sulla cattedra. Tuttavia, sul volto gli era rimasto un vago sorriso, che accentuava la fossetta che aveva sulla guancia sinistra. Più sorrideva, più avrei voluto detestarlo, eppure quel sorriso mi rendeva impossibile farlo.
«Chi mi sa dire quale presidente aveva una moglie strabica e bruttissima?» domandò Chaney.
«Mi raccomando, annotalo», sussurrò Travis. «Mi servirà per i colloqui di lavoro.»
«Sst», dissi, scrivendo ogni parola del professore.
Lui sorrise e si rilassò. Durante la lezione, tra uno sbadiglio e l’altro si appoggiò più volte alla mia spalla per guardare il monitor. Mi sforzavo di ignorarlo, ma la sua vicinanza e i muscoli possenti del suo braccio mi creavano non poche difficoltà. Continuò a giocherellare con il bracciale di pelle nera che aveva al polso finché Chaney non terminò la lezione.
A quel punto mi affrettai a raggiungere la porta e a percorrere il corridoio. Proprio quando credevo di essere a distanza di sicurezza, Travis mi si affiancò.
«Ci hai pensato?» chiese mettendosi gli occhiali da sole.
In quell’istante ci si parò davanti una brunetta minuta con gli occhi sgranati e l’aria speranzosa. «Ehi, Travis», esclamò con voce cantilenante, toccandosi i capelli.
Mi fermai, disgustata dal suo tono mellifluo, e poco dopo la superai. L’avevo già vista nell’area comune della Morgan Hall, lo studentato in cui vivevo. In quelle occasioni parlava normalmente e mi chiesi perché pensasse che Travis avrebbe trovato seducente quella voce infantile. Chiacchierò con un tono più alto di un’ottava ancora per un po’, dopodiché lui mi raggiunse.
Estrasse un accendino dalla tasca, si accese una sigaretta e soffiò uno sbuffo di fumo. «Dov’ero rimasto? Oh, sì... stavi pensando.»
Feci una smorfia. «Di che parli?»
«Hai deciso se verrai?»
«Se dico di sì, smetterai di seguirmi?»
Travis valutò la proposta e annuì. «Sì.»
«Allora verrò.»«Quando?»
Sospirai. «Stasera. Verrò stasera.»
Lui sorrise e si bloccò di colpo. «Grande. Allora ci vediamo, Pidge.»
Girai l’angolo e vidi America e Finch davanti allo studentato. Ci eravamo ritrovati allo stesso tavolo all’orientamento matricole e avevo capito subito che Finch sarebbe diventato parte del nostro ingranaggio ben collaudato. Non era molto alto ma, visto il mio metro e sessantatré, mi sovrastava. I suoi occhi spiccavano sul volto lungo e magro, e di solito un ciuffo dei capelli decolorati gli ricadeva sulla fronte.
«Travis Maddox? Gesù, Abby, da quando peschi in acque pericolose?» disse Finch con uno sguardo di disapprovazione.
America prese la gomma che stava masticando tra due dita e la tirò fino a formare una lunga striscia. «Respingerlo significa solo peggiorare le cose. Non è abituato ai rifiuti.»
«E cosa dovrei fare? Andare a letto con lui?»
America scrollò le spalle. «Risparmieresti tempo.»
«Gli ho detto che stasera sarei andata da lui.»
Finch e America si scambiarono un’occhiata.
«Che c’è? Ha promesso che avrebbe smesso di tormentarmi se avessi accettato. Tu vai da loro stasera, vero?»
«Be’, sì», rispose America. «Ci verrai davvero?»
Sorrisi ed entrai nell’edificio, chiedendomi se Travis avrebbe mantenuto la promessa di non flirtare con me. Non era un tipo difficile da capire: mi vedeva come una sfida o come una ragazza sufficientemente priva di fascino da poter essere una buona amica. Non sapevo quale delle due alternative mi turbasse di più.
Qualche ora più tardi, America bussò alla mia porta per accompagnarmi da Shepley e Travis.
«Gesù! Sembri una senzatetto!» sbottò quando mi vide.
«Bene», dissi, soddisfatta dall’effetto d’insieme. Avevo raccolto i capelli in uno chignon disordinato, mi ero struccata e alle lenti a contatto avevo preferito gli occhiali con la montatura nera rettangolare. Avanzai ciabattando nelle mie infradito, fiera di sfoggiare una T-shirt logora e un paio di pantaloni della tuta. Avevo pensato che apparire scialba sarebbe stato in ogni caso il piano migliore. Speravo di spegnere l’entusiasmo di Travis, e di porre termine finalmente a quell’assurda insistenza. E l’aspetto dimesso lo avrebbe scoraggiato anche nel caso in cui avesse voluto una semplice amica.
America abbassò il finestrino e sputò la gomma da masticare. «Sei davvero banale. Potevi completare il tuo look rotolandoti nel letame.»
«Non voglio far colpo su nessuno», risposi.
«Questo mi sembra ovvio.»
Lasciammo l’auto nel parcheggio del palazzo di Shepley e seguii America lungo le scale. Lui venne ad aprire e scoppiò a ridere quando feci il mio ingresso.
«Cosa ti è successo?»
«Non vuole far colpo su nessuno», spiegò America.
Andarono nella stanza di Shep. La porta si chiuse alle loro spalle e io restai sola con la sensazione di essere fuori posto. Mi sedetti nella poltrona reclinabile e mi sfilai le infradito.
L’estetica dell’appartamento era più gradevole della tipica casa da scapoli. Come prevedibile, le pareti erano tappezzate di manifesti di donne seminude e cartelli stradali rubati, ma la casa era pulita, i mobili erano nuovi e soprattutto non si sentiva puzzo di birra vecchia e di abiti sporchi.
«Era ora!» esclamò Travis buttandosi sul divano.
Sorrisi e mi sistemai gli occhiali sul naso, aspettando che manifestasse disgusto per il mio aspetto. «America doveva finire un saggio.»
«A proposito, hai già iniziato quello di storia?»
Non aveva battuto ciglio di fronte ai miei capelli in disordine, e la cosa mi indispettì. «E tu?»
«L’ho finito questo pomeriggio.»«Ma è per mercoledì», replicai sorpresa.
«L’ho buttato giù. Quanto potrà essere difficile scrivere un saggio di due pagine su Grant?»
«Io sono una che temporeggia», risposi alzando le spalle. «Probabilmente non lo inizierò prima del fine settimana.»
«Be’, se ti serve aiuto fammelo sapere.»
Pensavo scoppiasse a ridere o lasciasse comunque intendere che stava scherzando, invece aveva un’aria sincera.
«Mi aiuteresti davvero?» chiesi perplessa.
«Ho il massimo dei voti in storia», replicò, offeso dalla mia incredulità.
«Ha il massimo dei voti in tutte le materie. È un maledetto genio, lo odio», osservò Shepley conducendo per mano America in soggiorno.
Osservai dubbiosa Travis e lui si corrucciò.
«Cosa c’è? Pensi che un ragazzo coperto di tatuaggi che fa a pugni per vivere non possa avere buoni voti? Non sono al college solo perché non ho di meglio da fare.»
«Perché combatti, allora? Perché non hai provato con le borse di studio?» chiesi.
«L’ho fatto. Me ne hanno concessa una che copre metà delle tasse. Ma ci sono i libri, le bollette... in qualche modo li devo pagare. Dico sul serio, Pidge, se hai bisogno di aiuto, non hai che da chiedere.»
«Non mi serve il tuo aiuto. Sono in grado di scrivere un saggio.» Volevo chiudere la conversazione. Avrei dovuto chiuderla, ma quel nuovo lato del suo carattere aveva destato la mia curiosità. «Non puoi trovare qualcos’altro per mantenerti? Qualcosa di meno... sadico?»
Travis scrollò le spalle. «È un modo facile di far soldi. Non potrei guadagnare altrettanto lavorando in un negozio.»
«Essere presi a pugni in faccia non è “facile”.»
«Be’, ti preoccupi per me?» osservò ammiccando. Feci una smorfia e lui ridacchiò. «Non mi colpiscono tanto spesso. Se attaccano, li schivo. Non è così difficile.»Scoppiai a ridere. «Come se non ci avesse mai pensato nessuno.»
«Quando tiro un pugno, gli avversari incassano e cercano di restituirlo. Ma non ce la fanno quasi mai.»
Alzai gli occhi al cielo. «Chi sei, Karate Kid? Dove hai imparato a combattere?»
Shepley e America si scambiarono un’occhiata, dopodiché fissarono il pavimento. Non impiegai molto a capire di aver detto qualcosa di sbagliato.
Travis tuttavia non pareva scosso. «Avevo un padre alcolista dal pessimo carattere e quattro fratelli più grandi con il gene della coglionaggine.»
«Oh...» Mi sentii le orecchie in fiamme.
«Non essere in imbarazzo, Pidge. Papà ha smesso di bere e i miei fratelli sono cresciuti.»
«Non sono in imbarazzo.» Giocherellai nervosamente con una ciocca di capelli, poi decisi di sciogliere e rifare lo chignon nel tentativo di ignorare l’increscioso silenzio.
«Mi piace questo look naturale. Le ragazze non vengono da me così.»
«Io sono stata costretta a venire qui. Non ho mai voluto far colpo su di te», obiettai, seccata per il fallimento del mio piano.
Lui sfoderò un ghigno divertito, infantile, e io m’infuriai ancora di più, sperando però che la rabbia mascherasse il disagio. Non sapevo come si sentissero le ragazze accanto a lui, ma avevo visto come si comportavano. Dal canto mio, più che infatuata, mi sentivo nauseata e confusa, e i tentativi di Travis di farmi sorridere non facevano che turbarmi.
«Ma hai già fatto colpo. Di solito non devo supplicare una ragazza perché venga da me.»
«Non ne dubito», replicai con aria indignata.
Era un presuntuoso, e della peggior specie. Non era solo spudoratamente consapevole del proprio fascino, ma anche talmente abituato a vedere le donne cadere ai suoi piedi da ritenere la mia freddezza una piacevole novità anziché un insulto. Dovevo cambiare strategia.
America puntò il telecomando verso il televisore e lo accese. «Stasera danno un bel film. Qualcuno vuole scoprire che fine ha fatto Baby Jane?»
Travis si alzò. «Stavo per uscire a cena. Hai fame, Pidge?»
«Ho già mangiato», risposi con indifferenza.
«Non è vero», disse America prima di rendersi conto dell’errore. «Oh... ehm... certo, mi ero scordata che ti sei presa una... pizza... prima.»
Feci una smorfia di fronte a quel misero tentativo di rimediare alla gaffe e attesi la reazione di Travis.
Lui attraversò la stanza e aprì la porta. «Forza. Sarai affamata.»
«Dove vai?»
«Dove vuoi. Possiamo mangiarci una pizza.»
Diedi una rapida occhiata ai miei vestiti. «Non sono presentabile.»
Travis mi studiò per un istante e fece un gran sorriso. «Stai benissimo. Andiamo, muoio di fame.»
Mi alzai e salutai America, superando Travis per scendere le scale. Mi fermai nel parcheggio e lo guardai inorridita mentre si sedeva in sella a una moto nera opaca.
«Uh...» mormorai, piegando le dita nude dei piedi.
Travis mi lanciò uno sguardo impaziente. «Oh, sali. Andrò piano.»
«Che modello è?» chiesi, leggendo troppo tardi la scritta sul serbatoio.
«È una Harley Night Rod. È l’amore della mia vita, perciò non graffiare la vernice quando sali.»
«Ho le infradito!»
Lui mi fissò come se avessi parlato in una lingua straniera. «E io gli stivali. Monta, dai.»
S’infilò gli occhiali da sole e il motore ruggì quando lo accese. Salii in sella e cercai qualcosa a cui aggrapparmi, ma le mie dita scivolarono dalla pelle al fanale di plastica.
Travis mi prese le mani e se le mise attorno alla vita.
«Non hai niente per tenerti, solo me, Pidge. Non mollare la presa», disse spingendo la moto all’indietro con i piedi. Uscì in strada e con uno scatto del polso partì come un razzo. Le ciocche sciolte mi sferzavano il viso e mi chinai dietro di lui, sapendo che se avessi guardato al di sopra della sua spalla le lenti dei miei occhiali si sarebbe riempite di insetti.
Qualche minuto più tardi imboccò a tutta velocità il vialetto d’accesso del ristorante e, non appena si fermò, mi misi in salvo sul marciapiede.
«Sei uno squilibrato!»
Travis ridacchiò e mise la moto sul cavalletto prima di smontare. «Ho rispettato i limiti di velocità.»
«Sì, quelli di un’autostrada tedesca, che notoriamente non ne ha», replicai sciogliendo lo chignon e districando i nodi con le dita.
«Non lascerei mai che ti accadesse qualcosa, Pigeon», dichiarò aprendo la porta del locale. Un po’ frastornata, lo seguii a precipizio nel ristorante, che odorava di grasso ed erbe aromatiche. Camminai sulla moquette rossa disseminata di briciole finché Travis scelse un tavolo d’angolo, lontano dai gruppi di ragazzi e dalle famiglie e ordinò due birre. Scrutai la sala, osservando i genitori che cercavano di far mangiare i figli turbolenti, e cercando di evitare le occhiate inquisitorie degli studenti della Eastern.
«Certo, Travis», disse la cameriera annotando il nostro ordine. Quando tornò in cucina, sembrava vagamente euforica per la sua presenza.
Mi portai i capelli scompigliati dietro alle orecchie, d’un tratto imbarazzata per il mio aspetto. «Vieni spesso qui?» chiesi acida.
Lui appoggiò i gomiti sul tavolo e mi fissò con gli occhi castani. «Allora, qual è la tua storia, Pidge? Odi gli uomini in generale o solo me?»
«Solo te, credo», bofonchiai.
Scoppiò a ridere, divertito. «Non riesco a capirti. Sei la prima ragazza che mi respinge. Non ti agiti quando mi parli e non cerchi di attirare la mia attenzione.»
«Non è una tattica. Non mi piaci, ecco tutto.»«Non saresti qui se non ti piacessi.»
Abbandonai l’espressione accigliata e sospirai. «Non dico che tu sia una persona malvagia. Solo, non mi va di essere considerata una facile preda per il semplice fatto di avere una vagina.» Fissai i granelli di sale sul tavolo finché non udii un verso strozzato provenire dalla sua direzione.
Travis spalancò gli occhi e scoppiò in una fragorosa risata. «Oddio! Mi fai morire! Dobbiamo essere amici. Non accetterò un no come risposta.»
«Okay, ma questo non ti autorizza a cercare di infilarti nelle mie mutande ogni cinque secondi.»
«Non hai intenzione di venire a letto con me. Afferrato.»
Mi sfuggì un sorriso, e il suo sguardo si illuminò. «Hai la mia parola. Non mi azzarderò nemmeno a pensare alle tue mutande... a meno che non sia tu a chiedermelo.»
Appoggiai i gomiti sul tavolo. «E questo non accadrà, perciò possiamo essere amici.»
Un sorriso malizioso accentuò i suoi lineamenti mentre si protendeva verso di me. «Mai dire mai.»
«Allora, qual è la tua storia?» chiesi. «Sei sempre stato Travis “Mad Dog” Maddox o ti chiamano così da quando sei alla Eastern?» Per la prima volta, la sua sicurezza vacillò: sembrava un po’ imbarazzato.
«No. È stato Adam a inventare quel soprannome, dopo il primo incontro.»
Le sue risposte spicce cominciavano a irritarmi. «Tutto qui? Non hai intenzione di dirmi niente di te?»
«Cosa vuoi sapere?»
«Le solite cose. Da dove vieni, cosa vuoi fare da grande... cose così.»
«Sono nato e cresciuto qui e mi sto specializzando in diritto penale.»
Srotolò con un sospiro le posate avvolte nel tovagliolo, le dispose accanto al piatto e guardò al di sopra della sua spalla con la mascella contratta. Dai due tavoli della squadra di calcio della Eastern si levò una risata che parve infastidirlo.«Stai scherzando», osservai incredula.
«No, sono di queste parti», affermò distrattamente.
«Parlo della specializzazione. Non sembri un tipo da diritto penale.»
Travis corrugò la fronte, tornando a concentrarsi sulla nostra conversazione. «Perché?»
Scrutai i tatuaggi che gli coprivano il braccio. «Dico solo che sembra ti si addica più il crimine che la giustizia.»
«Non mi caccio nei guai... Papà era piuttosto severo.»
«E tua mamma?»
«È morta quand’ero piccolo», rispose in tono freddo.
«Mi... mi dispiace», dissi scuotendo la testa. La sua risposta mi aveva colto alla sprovvista.
Travis reagì con noncuranza. «Non me la ricordo. I miei fratelli sì, ma io avevo solo tre anni quando morì.»
«Quattro fratelli, eh? Come facevi a distinguerli?» chiesi ironica.
«A seconda di chi picchiava più forte, che guarda caso era sempre il fratello più grande. In ordine erano Thomas, i gemelli Taylor e Tyler e poi Trenton. Non dovevi mai restare da solo in una stanza con Taylor e Ty. Ho imparato da loro metà di quello che faccio nel Cerchio. Trenton è il più piccolo ma è veloce, nonché l’unico che adesso riesca a colpirmi.»
Scossi la testa, sbigottita al pensiero di cinque Travis che correvano in giro per casa. «Sono tutti tatuati?»
«Tutti tranne Thomas. È dirigente pubblicitario in California.»
«E tuo padre? Dov’è?»
«Vive da queste parti», rispose. Aveva di nuovo la mascella contratta, sempre più irritato dalla squadra di calcio.
«Perché ridono?» domandai indicando la tavolata rumorosa. Lui scosse la testa, era chiaro che non ne volesse parlare. Incrociai le braccia e mi dimenai sulla sedia. «Dimmelo.»
«Ridono di me perché innanzitutto ti ho portato a cena. Di solito
non è una... mia abitudine.»
«Innanzitutto?» Quando capii, Travis sussultò vedendo la mia espressione. Parlai senza riflettere. «E io che temevo ridessero di te perché ti fai vedere con una vestita così! Credono che verrò a letto con te», borbottai.
«Perché non dovrei farmi vedere con te?»
«Di cosa stavamo parlando?» chiesi, sforzandomi di controllare il calore che mi saliva alle guance.
«Di te», mentì. «Qual è la tua specializzazione?».
«Oh, ehm... cultura generale, per il momento. Sono ancora indecisa, ma propendo per ragioneria.»
«Tu però non sei di queste parti. Ti sei trasferita.»
«Sono di Wichita, come America.»
«E come sei finita qui dal Kansas?»
«Siamo state costrette a scappare.»
«Da cosa?»
«Dai miei genitori.»
«Oh. E America? Anche lei ha problemi con i genitori?»
«No, Mark e Pam sono fantastici. In pratica mi hanno allevato loro. Lei mi ha seguito, non voleva venissi qui da sola.»
Travis annuì. «E come mai avete scelto la Eastern?»
«Mi stai facendo il terzo grado?» Le domande stavano diventando troppo personali e iniziavo a sentirmi a disagio.
La squadra di calcio lasciò il tavolo, con un gran rumore di sedie. Dopo un’ultima battuta, i giocatori si avviarono lentamente alla porta. Non appena Travis si alzò affrettarono il passo, e gli ultimi del gruppo spinsero quelli davanti per darsi alla fuga prima che attraversasse la sala. Lui tornò a sedersi, controllando a stento rabbia e frustrazione.
Inarcai un sopracciglio.
«Stavi dicendo perché hai scelto la Eastern», riprese.
Mi strinsi nelle spalle. «È difficile da spiegare. Mi è sembrata la scelta più giusta da fare.»
Lui sorrise e aprì il menu. «So cosa intendi.»
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