Salve a tutti carissimi Bookcrettiani! Pochi giorni fa io e Ilaria abbiamo deciso di aprire una nuova iniziativa per tutti gli scrittori del blog e dare loro la possibilità di pubblicare i loro racconti nel blog così che i lettori possano commentare, complimentare o fare delle critiche costruttive. Fino ad adesso abbiamo ricevuto una sola storia che siamo contente di pubblicare, la storia di una nostra lettrice fissa, la storia di Lorenza. A parer nostro, un racconto meraviglioso pieno si significato e anche, sotto sotto, di una bella morale. Quindi, cari lettori, buona lettura.
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"Giudicare. Ecco una parola che viene usata spesso impropriamente." No questa frase non va bene per l'inizio di un libro. Ricominciamo. "Quando le persone ti guardano, io so che ti stanno giudicando. Male o bene, poco importa. Lo fanno sempre." No, ancora non ci siamo. Forse è meglio utilizzare un modo diretto. Ok, ora sono pronta.
"Quando ero piccola, pensavo che il mondo fosse una grande giostra con giochi sempre nuovi da scoprire. Mi avevano insegnato ad essere sempre rispettosa verso gli altri, a salutare le persone quando le si incontra per la strada e, soprattutto, a mostrare sempre qualcosa che anche se non è vero non fa niente, purché gli altri lo credano. Sì è vero, questo significa mentire. Ma cosa importava a mia madre se si diceva qualche bugia? Nulla, l'importante è far credere a tutti che stavamo bene. Per lei, star bene significa dire a tutti che si ha un buon lavoro, che i figli sono bravi e che non c'è nessun problema. E basta. E allora io guardavo quegli sconosciuti che mi guardavano, anzi, scrutavano, e credevo che sorridergli fosse il mezzo migliore per mostrare a tutti che ero assurdamente felice. E le persone sono così credulone a volte. Riuscivo a convincere anche me stessa. Avevo i genitori, ero brava a scuola. Nessun problema. Invece i problemi c'erano eccome e lo capii già alla scuola materna. Innanzitutto, avevo una voglia patologica di prendere in braccio tutti. Mi sentivo adulta, una mamma. Volevo mostrare che io ero grande. Alle scuole elementari, mentre mi vergognavo per i vestiti da maschio che mia mamma mi costringeva a mettere, capii che anche lì non avrei trovato amici. Ero già troppo seria allora. Per me la prima cosa era essere brava a scuola. Quando arrivavo a casa, influenzata da quell'abitudine di dire sempre 'tutto bene', non raccontavo a nessuno che le bambine mi prendevano in giro, o che nessuno mi voleva a giocare perché ero troppo appiccicosa. Già a otto anni, una bambina che ti dice 'non starmi sempre appiccicata' ti fa soffrire. Cominci a sentirti sbagliata, diversa e infine, esclusa. Arrivi alle medie sentendoti già inferiore, mentre accumuli chili di grasso e depressione, tanto che andare bene a scuola è l'unico modo per sentirti qualcuno. Ma non capisci che ai ragazzini di undici anni non interessa quanto studi o sei bravo a scuola, ma quanti giochi hai, a quale Luna park sei andato e più tardi, a chi hai dato il primo bacio. Ah sì, il primo bacio, che angoscia. L'ho dato a quasi quattordici anni, dopo quasi tutte le mie compagne. A quell'età non ti rendi conto che è una cosa così insignificante. Però io volevo sentirmi una ragazzina normale e non quella che Andrea chiamava 'uomo'. Ero sempre più sola, sempre più depressa e sempre senza amici. Ormai non provavo nemmeno più a dire a qualcuno quello che provavo. Così tante volte avrei voluto andare a casa e dire tutto a mia mamma. Invece lei era la mia nemica numero uno, mi diceva 'ci credo che non hai amici, con un carattere così'. Ci stavo così male perché ero così inadeguata. Non dico che la vita migliori alle superiori, o forse dipende dalle circostanze. Fatto sta che trovai delle amiche, delle amiche vere. Non mi sembrava possibile. La loro amicizia è qualcosa per cui ringrazio Dio, perché dopo anni non è venuta a mancare. Ok, non è quell'amicizia struggente, fatta di condivisione di tutto, di pomeriggi interi a chiaccherare di ragazzi. Però era amicizia, e tanto bastava. Sono cresciuta adesso, le superiori sono finite. Ancora non capisco i ragazzi della mia età. Sono un'emarginata sociale? Mi sa proprio di sì. Non ho ancora capito se sono io che sono diversa o sono gli altri che sono sbagliati. Nel mio caso, la stranezza è essere sempre brava a scuola, non fare mai una bravata di quelle da castigo per un mese, non avere ancora fatto l'amore e soprattutto andare in Chiesa, credere, avere fede, fare la catechista. Dopo tutto vado fiera di queste cose. Non sono un animale sociale e a questo punto non lo diventerò di certo in futuro. Però forse un giorno partirò, magari andrò a fare volontariato in un paese in cui mostrare agli altri quanto di più falso esista non sia una priorità, ma dove ti tendono la mano. E non te la tendono per trascinarti in una discoteca, ma perché la gentilezza e i buoni valori che da piccola mi avevano insegnato sono ancora indispensabili per qualcuno, che ha bisogno del mio aiuto. A questo punto, direi che non importa se il giudizio che le persone si fanno di te è buono o cattivo. Giudica te stesso in base a ciò che ritieni corretto e sappi che non bisogna vivere in funzione degli altri, ma per gli altri. Che è diverso. Solo ora capisco che il mondo non è una giostra piena di giochi come pensavo da piccola, ma è solo il risultato di ciò che ci creiamo attorno."