Carissimi lettori,
mi scuso del ritardo della pubblicazione del post, comunque ecco a voi le uscite del mese di dicembre(le più significative) e gennaio.
Con questo noi di Bookcret colgliamo l'occasione per augurarvi un FELICE ANNO NUOVO!
J.K. Rowling - Il seggio vacante (Salani)pubblicato il 06/12
Il primo romanzo per adulti scritto da J.K. Rowling. Una storia ricca di humor nero, capace di sorprendere e far riflettere.
A chi la visitasse per la prima volta, Pagford apparirebbe come un’idilliaca cittadina inglese. Un gioiello incastonato tra verdi colline, con un’antica abbazia, una piazza lastricata di ciottoli, case eleganti e prati ordinatamente falciati. Ma sotto lo smalto perfetto di questo villaggio di provincia si nascondono ipocrisia, rancori e tradimenti. Tutti a Pagford, dietro le tende ben tirate delle loro case, sembrano aver intrapreso una guerra personale e universale: figli contro genitori, mogli contro mariti, benestanti contro emarginati. La morte di Barry Fairbrother, il consigliere più amato e odiato della città, porta alla luce il vero cuore di Pagford e dei suoi abitanti e la lotta per il suo posto all’interno dell’amministrazione locale è un terremoto che sbriciola le fondamenta, che rimescola divisioni e alleanze. Eppure, dalla crisi totale, dalla distruzione di certezze e valori, ecco emergere una verità spiazzante, ironica, purificatrice: che la vita è imprevedibile e spietata, e affrontarla con coraggio è l’unico modo per non farsi travolgere, oltre che dalle sue tragedie, anche dal ridicolo.
Giovanni Negri - Prendete e bevetene tutti(Einaudi) pubblicato il 4/12
Guarda le stelle, commissario Cosulich. Guarda le stelle. Ti porteranno conforto. E confusione… Torna il primo detective del vino e dintorni, alle prese con un caso che sembra un labirinto. Risolto un mistero, se ne apre subito un altro, all’infinito, fra il passato più buio e il futuro più inquietante. Fino a che una verità splendente e imprevista non lascia a bocca aperta il più smaliziato dei lettori. Chi ha tagliato i freni della Mini dove viaggiava Mario Salcetti, inventore in Franciacorta delle bollicine italiane? Che cosa aveva intravisto il sagace, beffardo Salcetti nei suoi viaggi tra i manoscritti miniati e le antiche abbazie d’Europa che hanno fatto la storia del Cristianesimo trionfante? Un terribile, spaventoso segreto, che la Chiesa vuol mantenere tale, o un gigantesco possibile affare sotto lontani, nebbiosi cieli? E che cosa significano due frasi latine a prima vista simili, ma che alludono in realtà a mondi del tutto diversi? Abbagliato dagli occhi di belle dame molto pallide, o molto determinate, tra investitori investiti del gravoso compito di guadagnare a tutti i costi, giornalisti famelici e una nube di altri pittoreschi personaggi, l’ex astemio Cosulich di una cosa sola può fidarsi. Della sua propensione a guardare le stelle.
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L. James - Cofanetto trilogia “Cinquanta Sfumature” (Mondadori) pubblicato il 4/12
GENNAIO 2013
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Carissimi lettori di Bookcret,
quest'oggi vorrei provare a recensire il più grande capolavoro letterario di Oscar Wilde. Sto parlando naturalmente del mitico, ineguagliabile, indimenticabile: "Il ritratto di Dorian Gray".
Titolo: Il ritratto di Dorian Gray Autore: Oscar Wilde Editore: Mondadori Collana: Oscar classici N. pagine: 288 Genere: romanzo gotico Recensione eseguita da Ilaria
Trama: Dorian Gray, un giovane di straordinaria bellezza, si è fatto fare un ritratto da un pittore. Ossessionato dalla paura della vecchiaia, ottiene, con un sortilegio, che ogni segno che il tempo dovrebbe lasciare sul suo viso, compaia invece solo sul ritratto. Avido di piacere, si abbandona agli eccessi più sfrenati, mantenendo intatta la freschezza e la perfezione del suo viso. Poiché Hallward, il pittore, gli rimprovera tanta vergogna, lo uccide. A questo punto il ritratto diventa per Dorian un atto d'accusa e in un impeto di disperazione lo squarcia con una pugnalata. Ma è lui a cadere morto: il ritratto torna a raffigurare il giovane bello e puro di un tempo e a terra giace un vecchio segnato dal vizio.
Recensione:
La principale tematica trattata all'interno del romanzo è l'esaltazione della bellezza su cui è incentrata tutta la vicenda. Un bene terreno effimero, destinato, a causa del tempo fuggevole, a mutare e infine a scomparire. Che spinte anche il più innocente degli uomini alla perdizione. Dorian Gray, protagonista della vicenda, è un giovane aristicratico di straordinaria bellezza. Ha circa vent'anni, possiede labbra rosse ben disegnate, franchi occhi azzurri e riccioli biondi.
Indotto dall'amico Lord Henry Wotton a riflettere su fatto che la propria bellezza non sarà mai eterna e che anche lui come tutti gli altri uomini, invecchierà, stringe un patto con il diavolo. Il quadro che lo raffigura, creato dall'amico Basil, portera su di sè l'invecchiamento del tempo e della bellezza permettendo al giovane eterna giovinezza, portandolo insesorabilmente alla perdizione della propria anima. Nel corso della sua vita commetterà atti inauditi che convolgeranno le vite delle persone che lo circondano come Sibil Vane, ragazza dolce, gentile, sognatrice, perdutamente innamorata del giovane, e il caro amico Basil che con la sua amicizia, il suo affetto e il suo buon cuore cercherà di aiutare Dorian a tornare sulla retta via. Dorian Gray è un esteta, quindi rappresenta una figura che nacque in Ighilterra nella seconda metà dell'Ottocento, il Dandy. Costui risulta essere un uomo eccentrico, affascinante, provvisto di una straordinaria bellezza e raffinatezza nei modi e nel vestire. Colui che non segue la moda, ma la crea. Un uomo che disprezza profondamente la società borghese e che vota la propria vita alla sregolatezza. La vicenda è ambienta a Londra in epoca vittoria. Il protagonista viene spesso descritto in spazi chiusi come, la propria casa, la casa degli amici Basil ed Henry, in teatro mentre assiste alla rappresentazione della donna amata Sibil Vane, e nel vecchi studio dove verrà rinchiuso il quadro affinché nessuno possa vederlo. Lo stesso luogo in cui Basil e la sua creazione cesseranno di esistere per sempre. Tutti i luoghi, dettagliatamente descritti, sono reali e indispensabili allo svolgimento della narrazione.
Il protagonista della vicenda è Dorian Gray, giovane aristocratico, ingenuo,capriccioso, immaturo e facilmente influenzabile, vittima della propria bellezza e del proprio segreto. Lord Henry Wotton, inizialmente si pensa essere lo stesso Oscar Wilde che utilizza il personaggio per esprimere le proprie idee e concezioni sulla vita ma, dopo un' accurata riflessione, si può giungere alla conclusione che le parole messe in bacca ad Henry siano le meditazioni della società in cui visse l'autore. Una società "inetta", cinica, ricca di teorie e pregiudizi, la stessa da cui Wilde venne giudicato e imprigionato per una sua possibile indole all'omossessualità. Ora è assodato che Wilde nella seconda metà della sua vita ebbe una relazione omosessuale.
Il pittore, Basil Hallward, l'ideato del quadro è un uomo onesto,introverso, di buon cuore che tiene realmente alla vita di Dorian. L'unico che tenterà di persuadere Dorian a cambiare stile di vita. Nel libro, non è ben chiaro il rapporto che sussiste tra Basil e Dorian. L'interesse del pittore può sembrare puramente artistico, poichè Dorian con la sua ostentata bellezza ispira la sua arte, ma certi suoi atteggiamenti e commenti farebbero pensare ad un interesamento più profondo, morboso, quasi amoroso. La vicenda viene raccontata da un narratore esterno, il linguaggio è curato e raffinato, le descrizioni di luoghi e personaggi sono dettagliate. Nel capitolo in cui Oscar narra degli hobby di Dorian il linguaggio diventa più tecnico, scientifico e le descrizioni dei vari oggetti sono minuziose. Inoltre all'interno del romanzo vi sono molte espressioni tipiche dell'epoca che contribuiscono a mantenere un'univocità all'interno del racconto. L'intenzione di Wilde è quella di portare avanti una dura critica nei confronti della società londinese del XIX secolo, troppo critica, dedita a falsi ideali, legata a costumi e tradizioni antiche. Pertanto il romanzo può essere considerato un documento storico, poiché descrive in maniera puntigliosa gli agi, i costumi, le tradizioni, i pregiudizi e i vizi del popolo londinese in età vittoriana.
Dal romanzo venne ideata una pellicola del 2009, che presenta notevoli differenze con il capolavoro di Oscar Wilde. Se nel libro viene data più importanza alle riflessioni dei vari personaggi, nel film viene messa in evidenza la dissoluzione di Dorian, dedito al piacere carnale. Consiglio vivamente a chi ancora non avesse letto questo romanzo a farlo.Un libro emblematico che si può ricondurre ai nostri tempi nel quale siamo troppo legati a falsi ideali e ci interessiamo troppo ai pregiudizi della società per vivere pienamente la nostra vita ed essere liberi di esprimere noi stessi come individuo e non come un essere inserito in una società.
"La cosa più difficile a questo mondo? Vivere! Molta gente esiste, ecco tutto"
Estratto I Capitolo
Lo studio era pervaso dall'odore intenso delle rose e, quando tra gli alberi del giardino spirava la leggera brezza
estiva, dalla porta spalancata entrava l'intenso odore dei lillà, o il più delicato profumo dei fiori rosa dell'eglantina.
Dall'angolo del divano di coperte da sella persiane, sul quale era sdraiato, fumando com'era sua abitudine
innumerevoli sigarette, Lord Henry Wotton coglieva lo splendore dei fiori di liburno del colore e della dolcezza del
miele, i cui tremuli rami parevano appena sopportare il peso della loro fiammeggiante bellezza. Ogni tanto, l'ombra
fantastica di un uccello in volo saettava, con un fuggevole effetto giapponese, sulle lunghe tende di seta grezza tese
dinanzi all'enorme finestra ricordandogli quei pittori di Tokio dal viso di pallida giada che, con i mezzi di un'arte
necessariamente immobile, cercano di rendere il senso della velocità e del moto. Il cupo ronzio delle api che vagavano
tra le alte erbe non falciate o roteavano con monotona insistenza intorno agli stami coperti di polvere dorata degli sparsi
caprifogli sembrava rendere ancora più opprimente la sensazione di immobilità. Il rombo sommesso della città di
Londra ricordava le note basse di un organo lontano.
In mezzo alla stanza, fissato a un cavalletto, stava il ritratto a figura intera di un giovane di straordinaria
bellezza e di fronte, poco lontano, sedeva l'autore, Basil Hallward, la cui improvvisa scomparsa alcuni anni prima aveva
suscitato tanto scalpore e fatto sorgere tante strane congetture.
Mentre il pittore guardava la forma bella e piena di grazia che con tanta abilità artistica aveva raffigurato, un
sorriso di compiacimento gli attraversò il volto e parve volervisi fermare. Ma, improvvisamente, si alzò e chiudendo gli
occhi posò le dita sulle palpebre, come se volesse tener prigioniero nella mente uno strano sogno da cui temeva
ridestarsi.
«È la tua opera migliore, Basil, la più bella cosa che hai mai fatto,» disse languido Lord Henry. «Devi
assolutamente esporla al Grosvenor. L'Accademia è troppo grande e troppo volgare. Ogni volta che ci sono andato c'era
tanta di quella gente che non sono riuscito a vedere i quadri, il che è tremendo, oppure tanti di quei quadri che non sono
riuscito a vedere la gente, il che è anche peggio. Davvero, il Grosvenor è l'unico posto possibile.»
«Penso che non lo esporrò in nessun posto,» rispose il pittore gettando all'indietro il capo in quello strano modo
che provocava le risate dei suoi compagni di Oxford. «No, non lo esporrò in nessun posto.»
Lord Henry inarcò le sopracciglia e lo guardò stupito attraverso le sottili spire di fumo che salivano in
fantastici arabeschi dalla sigaretta grevemente oppiata. «Non vuoi esporlo? Perché, mio caro amico? C'è qualche
motivo? Che strani tipi siete, voi pittori! Fate qualunque cosa per ottenere una reputazione, poi non appena l'avete
raggiunta pare che la vogliate gettare via. È una sciocchezza, perché al mondo c'è una sola cosa peggiore del far parlare
di sé ed è il non far parlare di sé. Un ritratto come questo ti porrebbe più in alto di tutti i giovani inglesi e ti farebbe
invidiare dai vecchi, posto che i vecchi siano in grado di provare emozioni.»
«So che riderai di me,» rispose il pittore, «ma non posso davvero esporlo. Vi ho messo dentro troppo di me.»
Lord Henry si allungò sul divano ridendo.
«Sì, sapevo che avresti riso; comunque è proprio vero.»
«Troppo di te! Parola mia, Basil, non ti credevo così vanitoso; e non riesco proprio a trovare nessuna
rassomiglianza tra te, con quel tuo viso forte e marcato e i capelli neri come il carbone, e questo giovane Adone che
pare fatto di avorio e petali di rosa. Infatti, mio caro Basil, lui è un Narciso e tu... ecco, naturalmente hai un'espressione
intelligente e tutto il resto, ma la bellezza, la vera bellezza, finisce dove inizia l'espressione intelligente. L'intelletto è di
per se stesso una sorta di eccesso e in qualunque volto distrugge l'armonia. Non appena uno comincia a pensare, diventa
tutto naso o tutta fronte, oppure qualcosa di orrendo. Guarda quelli che hanno avuto successo nelle professioni
intellettuali. Sono assolutamente disgustosi. Eccetto, naturalmente, gli uomini di chiesa. Ma, del resto, gli uomini di
chiesa non pensano. A ottant'anni un vescovo continua a ripetere quello che gli è stato insegnato a diciotto e, come
naturale conseguenza, ha sempre un aspetto delizioso. Questo tuo misterioso amico di cui non mi hai mai detto il nome,
ma il cui ritratto trovo davvero affascinante, non pensa mai. Ne sono assolutamente sicuro. È una creatura bella e priva
di cervello, una creatura che si dovrebbe avere sempre vicina d'inverno, quando non ci sono fiori da ammirare e d'estate,
quando si sente il bisogno di qualcosa che rinfreschi l'intelligenza. Non illuderti, Basil, non gli assomigli
minimamente.»
«Non mi hai capito, Harry,» replicò l'artista. «Naturalmente non gli assomiglio. Lo so perfettamente. In realtà
mi dispiacerebbe assomigliargli. Scuoti le spalle? No, dico la verità. In ogni genere di distinzione, sia intellettuale che
fisica, c'è una fatalità, quel genere di fatalità che, nella storia, pare in agguato sui passi incerti dei re. È meglio non
essere diversi dal nostro prossimo. I brutti e gli stupidi hanno la parte migliore del mondo. Possono mettersi seduti a
loro agio e godersi lo spettacolo. Se della vittoria non sanno nulla, gli viene perlomeno risparmiata la consapevolezza
della sconfitta. Vivono come tutti dovremmo vivere: senza turbamenti, indifferenti e senza preoccupazioni. Non fanno
male agli altri e non ricevono male da mani altrui. La tua nobiltà e la tua ricchezza, Harry, la mia intelligenza, per quel
che può essere, la mia arte per quel che può valere, la bellezza di Dorian Gray: tutti soffriremo di ciò che gli dei ci
hanno donato, ne soffriremo terribilmente tutti.»
«Dorian Gray? Si chiama così?» domandò Lord Henry, muovendosi verso Basil Hallward.
«Sì, si chiama così. Non volevo dirtelo.»
«Perché no?»
«Oh, non saprei spiegartelo. Quando una persona mi piace moltissimo, non dico mai a nessuno il suo nome. È
come cederne una parte. Sono giunto ad amare la segretezza. Pare essere l'unica cosa che può renderci piena di
meraviglia e di mistero la vita moderna. Basta nasconderla, e la più banale delle cose diventa deliziosa. Quando parto da
Londra, non dico mai ai miei dove vado. Se lo dicessi, perderei ogni piacere. È una stupida abitudine, certo, ma in un
certo qual modo pare che porti una grossa dose di romanticismo nella nostra vita. Immagino che mi riterrai
tremendamente stupido.»
«Niente affatto,» rispose Lord Henry, «niente affatto. Forse dimentichi che sono sposato e l'unico elemento di
fascino del matrimonio sta nella necessità di una vita di inganni tra i coniugi. Io non so mai dov'è mia moglie e lei non
sa mai che cosa sto facendo. Quando ci incontriamo, succede qualche volta, se usciamo insieme a cena o andiamo dal
duca, ci raccontiamo con l'espressione più seria le cose più assurde. In questo mia moglie è molto brava, molto più
brava di me. Non confonde mai i suoi appuntamenti, mentre a me capita regolarmente. Ma quando mi coglie in fallo,
non mi fa scenate. A volte vorrei che me le facesse, ma lei si limita a prendermi in giro.»
«Non sopporto il modo che hai di parlare della tua vita matrimoniale, Harry,» disse Basil Hallward, dirigendosi
verso la porta che dava sul giardino. «Ritengo che tu sia un ottimo marito, ma che ti vergogni moltissimo delle tue virtù.
Sei un tipo straordinario. Non dici mai una sola parola morale e non fai mai una cosa sbagliata. Il tuo cinismo è
semplicemente una posa.»
«La naturalezza è semplicemente una posa, e la più irritante che conosca,» esclamò Lord Henry ridendo. I due
uomini uscirono insieme nel giardino e si accomodarono su un lungo sedile di bambù all'ombra di un alto cespuglio di
alloro. Il sole scivolava sulle foglie lucide, bianche margherite fremevano nell'erba.
Dopo una pausa, Lord Henry estrasse l'orologio. «Mi dispiace, Basil, ma devo andare,» mormorò, «e prima di
andarmene vorrei che tu rispondessi a una domanda che ti ho fatto poco fa.»
«Quale domanda?» domandò il pittore, tenendo gli occhi fissi a terra.
«Lo sai benissimo.»
«Non lo so, Harry.»
«Bene, te la ripeterò. Voglio che tu mi spieghi perché non vuoi esporre il ritratto di Dorian Gray. Voglio sapere
il vero motivo.»
«Te l'ho detto.»
«No. Hai detto che non volevi, perché in esso c'era troppo di te. Ora, questo è infantile.»
«Harry,» disse Basil Hallward, guardandolo negli occhi, «ogni ritratto dipinto con sentimento è un ritratto
dell'artista, non del modello. Il modello è solamente un accidente, l'occasione. Non è lui quello che viene rivelato dal
pittore; è piuttosto il pittore che sulla tela dipinta rivela se stesso. Il motivo per cui non esporrò questo quadro è che ho
il timore di avervi messo in evidenza il segreto della mia anima.»
Lord Henry rise. «E qual è questo segreto?»
«Te lo dirò,» disse Hallward, ma sul viso gli apparve un'espressione perplessa.
«Sono impaziente, Basil,» insistette l'amico lanciandogli un'occhiata.
«Oh, c'è davvero molto poco da dire, Harry,» rispose il pittore, «e temo che ti sarà difficile capirlo. Forse non
lo crederai nemmeno.»
Lord Henry sorrise, si chinò a raccogliere nell'erba una margherita dai petali rosati e la esaminò. «Sono sicuro
che ti capirò,» replicò fissando attentamente il minuscolo disco d'oro piumato di bianco, «e per quanto riguarda il
credere, posso credere a qualunque cosa purché sia del tutto incredibile.»
Il vento fece cadere alcuni boccioli dagli alberi e i pesanti lillà con i loro grappoli di stelle oscillarono nell'aria
languida. Accanto al muro una cavalletta cominciò a emettere il suo lieve stridio e una lunga e sottile libellula fluttuò
nell'aria come un filo azzurro sulle ali di seta bruna. Lord Henry aveva l'impressione di percepire il palpito del cuore di
Basil Hallward. Si chiese che cosa stesse avvenendo.
«La storia è semplicemente questa,» disse il pittore dopo qualche attimo. «Due mesi fa andai a un ricevimento
da Lady Brandon. Sai che noi poveri artisti di tanto in tanto ci dobbiamo far vedere in società, solo per ricordare al
pubblico che non siamo selvaggi. Sei stato tu una volta a dirmi che, con un abito da sera e una cravatta bianca,
chiunque, persino un agente di cambio, può guadagnarsi la reputazione di creatura civile. Bene, mi trovavo nella stanza
da una decina di minuti e stavo parlando con enormi matrone troppo vestite e con noiosi accademici, quando
improvvisamente mi resi conto che qualcuno mi stava guardando. Mi girai a metà e per la prima volta vidi Dorian Gray.
Quando i nostri occhi si incontrarono mi sentii impallidire. Fui preso da una strana sensazione di terrore. Mi rendevo
conto di trovarmi di fronte a un uomo il cui semplice fascino personale era tale che, se mi fossi lasciato andare, se glielo
avessi permesso, avrebbe assorbito in sé la mia vera natura, la mia vera anima, persino la mia arte. Non voglio influenze
esterne nella mia vita. Tu stesso, Harry, sai quanto io sia indipendente di natura. Sono sempre stato padrone di me
stesso o almeno lo sono stato finché non ho incontrato Dorian Gray. Allora... ma non so come spiegartelo. Qualcosa
pareva dirmi che ero sull'orlo di una terribile crisi. Avevo la strana sensazione che il destino avesse in serbo per me
gioie squisite e squisite tristezze. Ebbi paura e mi voltai per lasciare la stanza. Non era la coscienza che mi spingeva a
farlo, quanto piuttosto una sorta di viltà. Non mi vanto di aver cercato di fuggire.»
«La coscienza e la viltà sono esattamente la stessa cosa, Basil. La coscienza è semplicemente il marchio di
fabbrica della ditta: tutto qui.»
«Non credo, Harry, e non credo nemmeno che tu ne sia convinto. In ogni modo, qualunque fosse il motivo, può
anche darsi che fosse l'orgoglio, dato che sono molto orgoglioso, è certo che mi diressi decisamente verso la porta. E
qui, naturalmente, inciampai in Lady Brandon. "Non intenderà lasciarci così presto, signor Hallward?" gridò. La
conosci quella sua voce stranamente stridula.»
«Sì, assomiglia in tutto a un pavone, fuorché nella bellezza,» disse Lord Henry, facendo a pezzi la margherita
con le lunghe dita nervose.
«Non riuscii a liberarmi di lei. Mi portò dalle Altezze Reali, da gente con Stelle e Giarrettiere, da vecchie dame
con diademi giganteschi e nasi da pappagallo. Parlava di me come se fossi il suo più caro amico. In precedenza l'avevo
incontrata solo una volta, ma si era messa in testa di esibirmi. Mi pare che in quel periodo uno dei miei quadri avesse
riscosso un grande successo, o perlomeno se ne era parlato sui quotidiani popolari che nel diciannovesimo secolo
rappresentano il sigillo dell'immortalità. E, improvvisamente, mi trovai faccia a faccia con il giovane la cui personalità
mi aveva così stranamente turbato. Eravamo vicinissimi, quasi ci toccavamo. I nostri occhi si incontrarono una volta
ancora. Fu un atto incauto da parte mia, ma chiesi a Lady Brandon di presentarmelo. Forse, dopotutto, non fu un atto
così incauto: era semplicemente inevitabile. Ci saremmo parlati anche senza nessuna presentazione, ne sono certo. In
seguito Dorian me lo disse. Anche lui aveva avuto la sensazione che fossimo destinati a conoscerci.»
«E che cosa ti disse Lady Brandon di questo meraviglioso giovane?» domandò l'amico. «So che si dedica
sempre a esporre un breve précis di tutti i suoi ospiti. Ricordo che una volta mi presentò a un vecchio gentiluomo
dall'aria truculenta e dal volto scarlatto tutto coperto di nastri e decorazioni, sussurrandomi all'orecchio in un tragico
bisbiglio, che probabilmente fu udito da tutti nella stanza, particolari stupefacenti. Semplicemente, scappai. Mi piace
scoprire la gente da solo. Ma Lady Brandon tratta i suoi ospiti esattamente come un banditore tratta la sua merce: o li
presenta in forma completamente sbagliata, oppure dice sul loro conto tutto, salvo quello che uno desidera sapere.»
«Povera Lady Brandon! Sei duro con lei!» disse Hallward distrattamente.
«Mio caro, ha cercato di mettere in piedi un salon ed è riuscita solo ad aprire un ristorante. Come potrei
ammirarla? Ma, dimmi, che cosa ti ha detto del signor Dorian Gray?»
«Oh, qualcosa come "Un ragazzo affascinante... la sua povera madre e io eravamo davvero inseparabili. Non
ricordo assolutamente che cosa faccia... temo che... non faccia nulla... oh, sì, suona il pianoforte... o il violino, signor
Gray?" Scoppiammo a ridere tutti e due e diventammo subito amici.»
«Il ridere non è un brutto modo per iniziare un'amicizia, ed è senz'altro il migliore per terminarla,» disse il
giovane Lord, cogliendo un'altra margherita.
Hallward scosse il capo. «Tu non sai che cosa sia l'amicizia, Harry,» mormorò, «né che cosa sia l'inimicizia,
del resto. A te piace chiunque, il che equivale a dire che tutti ti sono indifferenti.»
«Sei terribilmente ingiusto!» esclamò Lord Henry spingendo all'indietro il cappello e alzando lo sguardo verso
le piccole nubi che, come intricate matasse di lucente seta bianca, veleggiavano nel cavo turchese del cielo estivo. «Sì,
sei terribilmente ingiusto. Io faccio molta differenza tra le persone. Scelgo gli amici per la bellezza, i conoscenti per il
buon carattere e i nemici per l'intelligenza. Non si è mai abbastanza attenti nella scelta dei propri nemici. Io non ne ho
nemmeno uno che sia stupido. Sono tutti persone dalle notevoli capacità intellettuali e, di conseguenza, mi apprezzano.
È una manifestazione di vanità da parte mia? Io penso di sì.»
«Pare anche a me, Harry. Ma, secondo questa classificazione, io sono soltanto un conoscente.»
«Vecchio mio, tu sei molto più di un conoscente.»
«E molto meno di un amico. Una specie di fratello, immagino.»
«Oh, i fratelli! Non mi interessano i fratelli! Mio fratello maggiore non vuol morire, e i miei fratelli più giovani
pare che non facciano altro.»
«Harry!» esclamò Hallward, aggrottando le sopracciglia.
«Caro amico, non dico sul serio. Ma non posso fare a meno di detestare i miei parenti. Immagino che sia
dovuto al fatto che nessuno può sopportare chi possiede gli stessi suoi difetti. Ho molta simpatia per la rabbia che la
democrazia inglese nutre nei confronti di quelli che chiamano i vizi delle classi superiori. Le masse pensano che
l'ubriachezza, la stupidità e l'immoralità debbano essere una loro speciale prerogativa e che, se qualcuno di noi si
comporta da deficiente, va a caccia nelle loro riserve. Quando il povero Southwark si presentò di fronte al tribunale dei
divorzi, la loro indignazione fu spettacolare. E tuttavia non penso che il dieci per cento del proletariato viva
nell'onestà.»
«Non sono d'accordo su una sola parola di ciò che hai detto, Harry, e quel che è di più sono sicuro che
nemmeno tu lo sei.»
Lord Henry si lisciò la bruna barba appuntita e assestò un colpetto alla scarpa di vernice con il fiocco del
bastone di ebano. «Come sei inglese, Basil! È la seconda volta che fai questa osservazione. Quando si espone un'idea a
un vero inglese, il che è sempre un atto temerario, costui non si sogna nemmeno di valutare se l'idea è giusta o sbagliata.
L'importante per lui è sapere se chi l'ha esposta ne è convinto o meno. Ora, il valore di un'idea non ha nulla a che vedere
con la sincerità di chi la espone. In realtà, la cosa più probabile è che quanto meno uno è sincero tanto più
intellettualmente pura sia l'idea perché non sarà inquinata né dai suoi difetti, né dai suoi desideri o dai suoi pregiudizi.
Tuttavia non intendo discutere di politica, di sociologia o di metafisica con te. Mi piacciono le persone più dei principi e
più di qualunque altra cosa mi piacciono le persone senza principi. Parlami ancora del signor Dorian Gray. Lo vedi
spesso?»
«Ogni giorno. Non sarei contento se non lo vedessi ogni giorno. Mi è assolutamente necessario.»
«Straordinario! Pensavo che ti interessasse solo la tua arte.»
«In questo momento lui rappresenta per me tutta la mia arte,» disse gravemente il pittore. «Harry, a volte penso
che nella storia del mondo ci siano solo due momenti importanti. Il primo è quando appare un nuovo mezzo artistico, il
secondo quando appare una nuova personalità artistica. Quello che per i veneziani fu l'invenzione dei colori ad olio, fu
per la tarda scultura greca il volto di Antinoo e un giorno sarà per me il volto di Dorian Gray. Non solo perché dipingo,
disegno, schizzo prendendolo come modello. Naturalmente ho fatto tutte queste cose, ma Dorian è per me molto più di
un modello o di un soggetto. Non ti dirò che non sono soddisfatto di quel che ho tratto da lui, né che la sua bellezza è
tale che l'arte non è in grado di esprimerla. Non c'è nulla che l'arte non possa esprimere e so che ciò che ho fatto da
quando ho conosciuto Dorian è un buon lavoro, il miglior lavoro della mia vita. Ma in qualche strano modo, spero che
mi capirai, la sua personalità mi ha suggerito uno stile e una forma artistica completamente nuovi. Vedo diversamente le
cose e le penso diversamente. Adesso sono in grado di ricreare la vita in una forma che prima mi era preclusa. "Un
sogno di forma in giorni di pensiero": chi l'ha detto? Me ne sono dimenticato ma proprio questo Dorian Gray ha
rappresentato per me. La sola presenza di questo ragazzo, perché mi sembra un ragazzo, anche se ha più di vent'anni, la
sua sola presenza... ah! Mi chiedo se ti puoi rendere conto di che cosa tutto questo significhi. Inconsciamente lui mi
delinea una nuova scuola, una scuola che dovrà avere in sé tutta la passione dello spirito romantico e tutta la perfezione
dello spirito greco. L'armonia di anima e corpo... che cosa grande! Nella nostra follia noi li separiamo e abbiamo
inventato un realismo che è volgare e un idealismo che è vuoto. Henry, se tu appena sapessi che cosa rappresenta per
me Dorian Gray! Ricordi quel mio paesaggio che Agnew si era offerto di comperare per una somma altissima, ma dal
quale non ho voluto separarmi? È una delle cose migliori che ho mai dipinto. E perché? Perché, mentre lo dipingevo,
Dorian Gray era seduto accanto a me. Qualche sottile influenza passava da lui a me e, per la prima volta in vita mia, ho
visto in una boscaglia la meraviglia che avevo sempre cercato e sempre mancato.»
«È straordinario, Basil. Devo vedere Dorian Gray.»
Hallward si alzò e fece qualche passo avanti e indietro nel giardino. Dopo qualche momento ritornò. «Harry,»
disse, «per me Dorian Gray è un semplice spunto artistico. In lui tu potresti non vedere nulla, mentre io ci vedo tutto.
Non è mai tanto presente nella mia opera come quando in essa non appare nulla di lui. Come ti ho detto, Dorian ha
ispirato il mio nuovo stile: lo ritrovo in certe linee, nella dolcezza e nell'elusività di certi colori. Solo questo.»
«E allora perché non vuoi esporre il suo ritratto?» domandò Lord Henry.
«Perché, senza averne l'intenzione, vi ho inserito qualche manifestazione di questa strana idolatria artistica di
cui, naturalmente, non mi sono mai curato di parlargli. Lui non ne sa nulla. E non ne saprà mai nulla. Ma il mondo
potrebbe intuirlo e io non metterò a nudo la mia anima sotto i suoi occhi superficiali e curiosi. Non metterò mai il mio
cuore sotto il microscopio del mondo. In quel ritratto c'è troppo di me, Harry... davvero troppo!»
«I poeti non hanno i vostri scrupoli. Sanno quanto la passione sia utile per pubblicare. Oggi, un cuore spezzato
lo si stampa in molte edizioni.»
«Li odio proprio per questo,» esclamò Hallward. «Un artista dovrebbe creare cose belle, ma non dovrebbe
inserirvi nulla della propria vita. Viviamo in un'epoca in cui gli uomini ritengono che l'arte sia una specie di
autobiografia. Abbiamo perduto il senso della bellezza astratta. Un giorno mostrerò al mondo che cosa sia, e proprio per
questo il mondo non vedrà mai il mio ritratto di Dorian Gray.»
«Secondo me hai torto, Basil, ma non voglio discutere con te. Discute continuamente solo chi ha esaurito
l'intelligenza. Dimmi, Dorian Gray prova un affetto intenso per te?»
Il pittore rifletté un poco. «Gli piaccio,» rispose dopo qualche attimo; «so che gli piaccio. Naturalmente io lo
adulo spaventosamente. Provo uno strano piacere a dirgli cose che so benissimo poi mi pentirò di avergli detto. Di
regola è molto gentile con me, sediamo insieme nello studio e parliamo di una quantità di cose. Ogni tanto, però, si
dimostra terribilmente irriflessivo e pare che si diverta davvero a farmi soffrire. Allora, Harry, ho la sensazione di aver
ceduto la mia anima a qualcuno che la tratta come se fosse un fiore da mettere all'occhiello, una piccola decorazione per
appagare la sua vanità, l'ornamento di un giorno d'estate.»
«I giorni d'estate, Basil, favoriscono gli indugi,» mormorò Lord Henry. «Forse ti stancherai prima di lui. È
triste pensarlo, ma senza dubbio il genio è più duraturo della bellezza. Questo spiega perché noi tutti ci diamo tanta
pena per istruirci all'eccesso. Nella lotta selvaggia per l'esistenza, cerchiamo di avere qualcosa di durevole e perciò ci
riempiamo la mente di cose inutili e di fatti, sperando stupidamente di mantenere la nostra posizione. L'uomo che sa
tutto: ecco l'ideale moderno. E la mente dell'uomo che sa tutto è una cosa terribile. È come un negozio di cianfrusaglie,
pieno di polvere e di mostruosità, dove ogni cosa ha un prezzo superiore di quel che vale. Comunque, penso che sarai il
primo a stancarti. Un giorno guarderai il tuo amico e ti sembrerà un po' sfuocato, oppure non ti piacerà il tono del suo
colore o qualche cosa di simile. Dentro di te, lo rimprovererai con durezza e penserai seriamente che si è comportato
molto male nei tuoi confronti. Quando si farà nuovamente vivo, sarai assolutamente freddo e indifferente. Sarà un
grosso peccato, perché questo produrrà in te un cambiamento. Quello che mi hai raccontato è un vero romanzo, lo si
potrebbe chiamare un romanzo d'arte e la cosa peggiore che capita quando si vive un romanzo di qualunque tipo è che ci
lascia completamente privi di sentimenti romantici.»
«Non parlare in questo modo, Harry. La personalità di Dorian Gray mi dominerà finché vivrò. Non puoi sentire
quello che sento io. Sei troppo incostante.»
«Ah, mio caro Basil, proprio per questo posso sentirlo. Quelli che sono fedeli conoscono solo il lato banale
dell'amore: sono gli infedeli che ne conoscono le tragedie.» Lord Henry accese un fiammifero strofinandolo su una
squisita scatoletta d'argento e cominciò a fumare una sigaretta con un'aria a un tempo soddisfatta e imbarazzata, come
se, in una sola affermazione, avesse riassunto l'essenza del mondo. Tra le verdi foglie di lacca dell'edera si sentiva uno
stormire di passeri cinguettanti, sull'erba le ombre azzurrine delle nubi si inseguivano come rondini. Come si stava bene
nel giardino! E quant'erano piacevoli le emozioni degli altri!... molto più piacevoli delle loro idee, gli sembrava. La
propria anima e le passioni di un amico: queste erano le cose affascinanti dell'esistenza. Con silenzioso piacere si
raffigurò il pasto noioso che aveva mancato per rimanere tanto a lungo con Basil Hallward. Se fosse andato da sua zia,
avrebbe incontrato di certo Lord Goodbody e si sarebbe parlato solo di come nutrire i poveri e della necessità di
dormitori modello. Ciascuna classe avrebbe predicato l'importanza di quelle virtù che nella propria vita non erano
necessarie. I ricchi avrebbero magnificato il valore della parsimonia e i pigri avrebbero parlato con eloquenza della
dignità del lavoro. Per fortuna a tutto questo era sfuggito! E, mentre stava pensando a sua zia, un'idea parve colpirlo.
Rivolgendosi a Hallward, disse: «Caro amico, adesso ricordo.»
«Che cosa ricordi, Harry?»
«Dove ho già sentito il nome di Dorian Gray.»
«E dove?» domandò Hallward, leggermente accigliato.
«Non fare quella faccia arrabbiata, Basil. È stato da mia zia, da Lady Agatha. Mi ha detto che aveva scoperto
un meraviglioso giovanotto che l'avrebbe aiutata nell'East End e che si chiamava Dorian Gray. Devo riconoscere che
non mi ha parlato della sua bellezza. Le donne non apprezzano la bellezza, le brave donne almeno. Disse che era molto
onesto e che aveva un ottimo carattere. Immaginai immediatamente un tipo dai capelli lunghi, con gli occhiali, tutto
coperto di lentiggini e barcollante su un paio di piedi enormi. Vorrei aver saputo che si trattava del tuo amico.»
«Sono molto contento che tu non l'abbia saputo, Harry.»
«Perché?»
«Perché non voglio che tu lo conosca.»
«Non vuoi che lo conosca?»
«No.»
«Il signor Dorian Gray è nello studio, signore,» disse il maggiordomo scendendo in giardino.
«Adesso dovrai presentarmi,» esclamò Lord Henry, ridendo.
Il pittore si rivolse al domestico che, immobile, socchiudeva gli occhi nel sole. «Preghi il signor Gray di
attendere, Parker. Rientrerò tra qualche istante.» L'uomo si inchinò e risalì lungo il vialetto.
Hallward si rivolse a Lord Henry. «Dorian Gray è il mio più caro amico,» disse. «Ha una natura semplice e
bella. Quello che ti ha detto tua zia è assolutamente vero. Non lo guastare. Non cercare di influenzarlo: la tua sarebbe
una cattiva influenza. Il mondo è grande e in esso ci sono moltissime persone straordinarie. Non allontanare da me
l'unica persona che dà alla mia arte tutto il suo fascino; la mia vita come artista dipende da lui. Ricorda, Harry, mi fido
di te.» Parlava lentamente e le parole parevano uscirgli contro la sua volontà.
«Che stupidaggini stai dicendo!» disse Lord Henry con un sorriso e, prendendolo a braccetto, quasi lo trascinò
in casa.
Amici lettori di Bookcret,
questo pomeriggio vorrei parlarvi di un libro che ho letto la settimana scorsa. Il romanzo narra la vicenda di una donna, abbandonata dal compagno che deve affrontare da sola la gravidanza.
Titolo: Lettera a un bambino mai nato Autore: Oriana Fallaci Editore: Rizzoli Pagine: 131 Recensione eseguita da Ilaria
Trama: Il libro è il tragico monologo di una donna che aspetta un figlio guardando alla maternità non come a un dovere ma come a una scelta personale e responsabile. Una donna di cui non si conosce né il nome né il volto né l'età né l'indirizzo: l'unico riferimento che viene dato per immaginarla è che vive nel nostro tempo, sola, indipendente e lavora. Il monologo comincia nell'attimo in cui essa avverte d'essere incinta e si pone l'interrogativo angoscioso: basta volere un figlio per costringerlo alla vita? Piacerà nascere a lui? Nel tentativo di avere una risposta la donna spiega al bambino quali sono le realtà da subire entrando in un mondo dove la sopravvivenza è violenza, la libertà un sogno, l'amore una parola dal significato non chiaro.
Recensione: Il romanzo affronta con molta precisione il tema dell'aborto, dell'abbandono e della difficoltà di una singola donna ad affrontare da sola la gravidanza. L'aborto, cioè l'interruzione della gravidanza, venne legalizzato in Italia nel 1978 con la legge 194 e può essere spontaneo o volontario qualora la donna si sottometta a un intervento chirurgico. Non vi nascondo il fatto che io non sono d'accordo all'interruzione di una gravidanza. Ogni donna è libera di pensare ciò che meglio crede, me non possiamo ignorare il fatto che l'aborto volontario provoca la morte di un individuo, il cui cuore inizia a battere a partire dalla quarta settimana. La donna protagonista del romanzo è una giornalista che resasi conto del suo stato interessante, inizia a valutare se portare a termine o meno la gravidanza. A chiedersi se il concepimento sia un atto egoista o altruista. Se il costringere un bambino alla nascita, che dovrà affrontare i problemi della vita, l'illusione di una libertà fasulla e il rispetto di regole, leggi, codici, dogmi imposti da altri individui, sia indispensabile o meno. Una volta presa la decisione di portare a termine la gravidanza, la donna viene "obbligata" dal medico curante a giorni di riposo, poichè la crescita del feto non procede regolarmente. Nel momento in cui alla madre viene imposto prima il controllo sul corpo e poi sulla mente decide di ribellarsi e di intraprendere un viaggio lavativo che porterà necessariamente alla tragica inevitabile fine. La vicenda è autobiografica poichè la stessa Oriana Fallaci rimasta incinta del compagno Alexandros Panagulis, conosciuto con il diminutivo Alekos, subì un aborto spontaneo dal quale non riuscì più a riprendersi. Infatti, vittima di forti rimpianti, non ebbe mai figli. La vicenda non si sa bene dove sia ambientata, sappiamo soltanto che la protagonista intraprende un viaggio lavorativo in un luogo non indicato. La narrazione ricopre un arco di tempo di circa tre mesi con dei vari flash back che ci aiutano a conoscere maggiormente la donna. I personaggio principali, oltre alla madre sono anche il bambino, il medico curante e il compagno. Il bambino, a cui si rivolge la donna, pur non essendo presente fisicamente rimane un punto costante nella narrazione. Nella parte finale del racconto il feto acquista un corpo, pertanto assolve la madre dalla colpa di infanticidio ringraziandola per non averlo fatto nascere in un mondo fasullo, governato da ingiusti per i giusti. Il medico curante sarà ostile alla donna fin dall'inizio poichè sarà l'unico a sospettare della maschera indossata dalla donna con la quale sostiene di desiderare il bambino. Un uomo duro spietato che non risparmierà alla madre critiche e accuse, condannandola di aver ucciso il suo bambino. Il compagno risulta essere un uomo fragile e insicuro. Inizialmente propone alla donna l'aborto chirurgico poi torna sui suoi passi cercando di aiutarla, ma forse è troppo tardi per riallacciare un rapporto. La donna dirà che quest'uomo non l'ebbe mai amato ma anche lei si ravvede sostenendo che "un uomo che accetta di farsi cacciare come lo cacciai io non è un uomo da buttar via". Il compagno come il medico l'accuserà di aver ucciso volontariamente il loro bambino. Il linguaggio utilizzato è semplice e colloquiale caratterizzato da un monologo della madre verso il proprio bambino, insegnandoli le fasi basilari di un esistenza terrena. Condividendo con il figlio le gioie e i dolori, i rimpianti e le sofferenze, le riflessioni e le proprie credenze. Il libro venne scritto come sfogo personale al dolore inferto all'autrice a causa della perdita del figlio. Ma tratta anche della difficoltà di una donna lavorativa a dover abbandonare il proprio stile di vita, per dedicarsi completamente alla maternità. Il romanzo affronta inoltre le innumerevoli distinzioni tra uomo e donna, infatti, non dobbiamo dimenticare che il libro venne scritto e pubblicato da Rizzoli nel 1975, anno in cui ancora alle donne non era permessa la libertà che vi è ora. Donne costrette a sottostare al volere degli uomini, a inserirsi in una società abietta e maschilista, meschina e fasulla, dittatrice e moralista . Il cui mondo fu creato dagli uomini per gli uomini. Ho apprezzato il libro per le descrizioni dettagliate di ogni riflessione. Mi ha colpito particolarmente la distinzione tra i sessi, elencandone i pro e i contro di ogni esistenza. Il finto processo è stato originale ed mostra in maniera molto evidente il dolore di una donna che uccise involontariamente il proprio bambino. Consiglierei il libro a chiunque, uomo e donna che sia, ragazza e ragazzo poichè è un romanzo che utilizza un linguaggio alla portata di tutti e affronta la questione dell'aborto che ancora oggi preoccupa il mondo, provocandone discussioni accese e la divisione della popolazione tra i favorevoli e i contrari.
"Nel mondo in cui ti accingi ad entrare, e malgrado i discorsi sui tempi che mutano, una donna che aspetta un figlio senza esser sposata è vista il più delle volte come una irresponsabile. Nel migliore dei casi, come una stravagante, una provocatrice. O un'eroina. Mai come una mamma uguale alle altre".
"Un giorno sarai abbastanza grande per cominciare a leggere nuovamente le favole"
Buonasera a tutti cari lettori di Bookcret,
stasera vi scrivo per rendervi partecipe di alcune modifiche. Come i lettori diciamo più "anziani" del blog avranno notate le pagine del menù in alto non si aprivano più da molto tempo. Purtroppo, non riuscendo a trovare più i codici html che mi permettevano di aggiustarle, ci ho messo un po' più di tempo. Ma stasera, con un maggiore impegno sono finalmente riuscita a metterle a posto! Questo vuol dire che ora potrete cliccarci sopra come avete sempre fatto e funzioneranno. Significa anche che il Guest Book è tornato attivo per tutti noi, per poter lasciare un saluto di passaggio o per poter condividere con tutti una frase o un pensiero. Mi scuso tantissimo se il blog ultimamente non è come gli inizi, ma tra mille impegni noi admin siamo sempre un po' incasinate, ma tranquilli, siamo sempre qui per voi! Per qualsiasi ulteriore informazione, domanda sulle prossime uscite di libri, o quant'altro non esitate a contattarci. Intanto che ci sono vi lascio nuovamente il link del gruppo su Facebook e il link su Anobii. Speriamo di trovarvi anche li.
Grazie per la vostra attenzione e partecipazione al blog, Bookcret
Salve a tutti amatissimi lettori di Bookcret,
quest'oggi vorrei parlarvi di un libro che lessi qualche anno fa. Il romanzo in questione tratta di un tema antico e quanto mai attuale nella nostra società: la violenza e gli abusi sulle donne.
Il libro si intitola "il diavolo ha gli occhi azzurri" di Lisa Kleypas.
Autore: Lisa Kleypas Titolo: Il diavolo ha gli occhi azzurri Editore: Mondadori Pagine: 316 Traduzione di: Agostini R.; Agostini M. Recensione eseguita da Ilaria
Trama: Hardy Cates è un uomo affascinante e ambizioso, un milionario nato in una famiglia povera, che ha costruito la propria fortuna da solo. Ed è determinato a portare avanti una sua vendetta privata contro i più ricchi petrolieri di Houston, i Travis. Haven è la figlia ribelle dei Travis, tornata a casa dopo due anni di matrimonio fallimentare con un uomo che non è mai piaciuto ai suoi, e ben decisa a non dare più retta al proprio cuore. Ma quando il suo sguardo incrocia quello di Hardy, la giovane donna si renderà conto che non si può resistere alla tentazione di un diavolo dagli occhi azzurri. Entrambi finiranno preda di un sentimento che nessuno dei due può - o vuole contrastare. Soprattutto quando una minaccia terribile emergerà dal passato della ragazza, e solo Hardy potrà salvarla...
Recensione: Il libro scritto dalla famosa scrittrice americana di romanzi rosa Lisa Kleypas, narra la vicenda di Haven Travis, donna bella, ricca, piena di sogni fino al giorno in cui sposa Nick, uomo ambizioso, narcisista, egoista e molto violento. Il loro matrimonio si rivelerà fin dai primi mesi un fallimento. Un unione che peserà molto su Havis rendendola incapace di affermare le sue opinioni, ragioni soffocandola sempre più in una morsa di terrore spicologico e fisico. Nick accecato dalla ricchezza della ragazza e avido decide che debbano avere per forza un bambino in modo tale che il padre di lei , intenerito dal nascituro, possa aiutarli economicamente perchè in precedenza aveva deseredato la figlia non approvando l'unione con il consorte. Haven pensa a questo progetto notte e giorno e giunge alla conclusione che mettere al mondo un figlio per queste ragioni sia un atto egoista e al tempo stesso meschino. Allora decide di continuare a prendere la pillola a insaputa del marito, e questo atto quando verrà scoperto porterà con sè una brutalità inaudita, una violenza sessuale, fisica, emotita che stravolgerà il mondo della donna. L'unico modo per Haven di estraniarsi dal dolore sarà quello di racchiuderlo in un cassetto ben nascosto della sua anima. Dopo anni di finta indifferenza nel confronti del suo passato Haven incontrerà l'affascinante Hardy,l'uomo dai misteriosi occhi azzurri per il quale dovrà trovare la forza di aprire quel cassetto, affrontare il passato, il dolore, la violenza subita e avere la forza di fidarsi di nuovo. Il libro ambientato a Houston mette in evidenza il percorso di questa donna distrutta e piegata dalla forza bruta che cerca di rialzarsi e andare avanti, ma il tempo non gioca a suo favore perchè Nick è tornato per distruggerla definitivamente facendole perdere quella poca certezza che ha. Lisa Kleypas affronta il tema della violenza con drammatico realismo descrivendo tutte le tappe nei minimi particolari: l'imposizione, il comando, l'ira, la violenza e infine l'abbuso . Queste sono le parole dell'autrice alla fine del libro:
"Mentre facevo ricerche per Il diavolo ha gli occhi azzurri, immaginando il viaggio personale della mia eroina Haven Travis, ho scoperto con enorme stupore quanto sia diffusa la problematica degli abusi e del Disturbo narcisistico della personalità. E di come questi disturbi vengano raramente trattati dai media. Penso che ciò dipenda, in parte, dal fatto che le vittime di manipolazioni verbali o emotive - episodi che possono accadere entro le mura domestiche, sul posto di lavoro, in ogni tipo di relazione - siano talmente assuefatte a considerare certi comportamenti "normali", da non distinguere neanche più il significato autentico di "normale". Nessuno ha il diritto di sopraffare, diffamare o controllare un'altra persona. Nessuno ha il diritto di sminuire o danneggiare altri, in alcun modo." Come non essere d'accordo con l'autrice? Purtroppo la violenza sulle donne c'è stata, c'è e ci sarà sempre, ma una cosa possiamo fare, denunciare l'accaduto affinchè l'atto non resti impunito, ribellarci e cercare ad ogni costo di non farci sopraffare. Consiglio il romanzo a chiunque, anche a chi non ama il genere rosa, proprio perchè affronta in maniera mirabile un fatto vero e tremendo. Spero che leggendo il libro ognuno di voi possa cercare di capire quanto una donna vittima di abusi possa soffrire, essere solidari con queste persone e per chi dovesse subirne possa avere la forza di denunciare il fatto perchè come dice l'autrice nessuno ha il diritto di controllare e sopraffare un'altra persona.
Una parte dell'essere forte consiste nell'essere capace di riconoscere che ci sono momenti in cui si ha bisogno di aiuto
Estratto I Capitolo
1
La prima volta che lo vidi fu al matrimonio di mio fratello, sotto il tendone del ricevimento.
Era in piedi, in una posa insolente e svogliata di chi avrebbe preferito trovarsi in piscina. Vestito in modo impeccabile. Ma chiaramente non si trattava del tipo che si guadagna da vivere seduto a una scrivania. Nessun capo Armani sarebbe riuscito a ridimensionare quella corporatura massiccia e prestante, da operaio dei pozzi di trivellazione o da cowboy abituato a montare tori ai rodei. Le sue lunghe dita, strette attorno a una flûte di champagne, avrebbero potuto spezzarne il gambo di cristallo con facilità.
Mi bastò uno sguardo per rendermi conto che si trattava di uno di quei bravi ragazzi che vanno a caccia, giocano a calcio o a poker e reggono l'alcol. Non proprio il mio tipo. Io ero interessata a qualcosa di più.
Tuttavia aveva un che di affascinante. Era decisamente bello nonostante la curva del naso che doveva essersi rotto in passato. I capelli bruni, folti e lucenti come pelliccia di visone, erano scalati. Ma furono gli occhi ad attirare la mia attenzione. Azzurri, di una intensità che non si poteva dimenticare una volta vista. Provai una scossa elettrica, quando girò lo sguardo nella mia direzione, fissandomi per un attimo.
Mi voltai immediatamente dall'altra parte, imbarazzata per essere stata sorpresa a spiarlo. Eppure mi sentivo ancora sotto il suo sguardo, sapevo che mi stava fissando perché un'ondata di calore mi stava avvolgendo la pelle. Terminai il mio champagne in rapidi sorsi, lasciando che le bollicine effervescenti calmassero i miei nervi. Soltanto dopo, arrischiai un'altra occhiata verso di lui.
Quegli occhi azzurri scintillavano con barbaro incanto. Un debole sorriso era infilato in un angolo della larga bocca. Non vorrei davvero trovarmi sola in camera con quel tipo pensai. Il suo sguardo scivolò verso il basso, come in una pigra ispezione, poi tornò a sollevarsi sul mio volto. E allora mi fece uno di quei rispettosi cenni del capo che i maschi del Texas hanno elevato a forma d'arte.
Questa volta mi girai di proposito dall'altra parte, indirizzando tutta l'attenzione su Nick, il mio ragazzo. Guardammo i novelli sposi danzare, i loro volti accostati. E mi alzai sulle punte dei piedi per sussurrare all'orecchio di Nick: «I prossimi saremo noi.»
Mi fece scivolare un braccio intorno alla vita. «Vedremo cosa ne dirà tuo padre.»
Nick aveva intenzione di chiedere a papà la mia mano. Una tradizione che io ritenevo antiquata e ormai superflua. Ma il mio ragazzo era un testardo.
«E cosa succede se papà non concede la sua approvazione?» chiesi. Considerato l'andamento della nostra famiglia - era raro che facessi qualcosa con l'approvazione di mio padre - si trattava di una possibilità mica tanto remota.
«Ci sposeremo lo stesso.» Indietreggiando un po', Nick mi sorrise. «Però, non mi dispiacerebbe convincerlo che non sono un così cattivo partito.»
«Tu sei la cosa migliore che mi sia mai capitata.» Mi rannicchiai nella curva del suo braccio. Pensavo che fosse un miracolo essere tanto amata da qualcuno quanto mi amava Nick. Nessun altro uomo, fosse stato anche un adone, riusciva minimamente a interessarmi.
Ricambiando il sorriso, gettai un'altra volta uno sguardo di lato, chiedendomi se l'uomo dagli occhi azzurri fosse ancora lì. Non so perché, ma provai un gran sollievo quando vidi che era andato via.
Mio fratello Gage aveva insistito per fare una cerimonia ristretta. Soltanto un gruppetto di persone era stato invitato nella piccola cappella di Houston, la stessa usata dai conquistadores spagnoli nel XVII secolo. Il rito era stato breve ma stupendo, l'atmosfera vibrava di tanta soffusa dolcezza che potevi sentirla fin sotto i piedi.
Il ricevimento, invece, era come un circo.
Si svolgeva nella nostra dimora, la villa dei Travis a River Oaks, una zona esclusiva di Houston i cui abitanti avevano molte più cose da confessare ai commercialisti che ai sacerdoti. Dal momento che Gage era il primo dei giovani Travis a sposarsi, papà intendeva approfittare dell'occasione per impressionare il mondo. O per lo meno il Texas, che nella visione di papà era la parte di mondo che soprattutto valeva la pena impressionare. Come molti altri texani, mio padre credeva fermamente che, se nel 1845 non fosse avvenuta l'annessione agli Stati Uniti, con ogni probabilità saremmo divenuti i leader del Nord America.
Così, per la reputazione familiare e per il fatto che gli occhi di tutto il Texas sarebbero stati puntati su di noi, papà aveva assunto una wedding planner, condensando in cinque parole le sue istruzioni: «Eccole il libretto degli assegni.»
Mio padre, Churchill Travis, era un noto mago dei mercati finanziari. Aveva creato un fondo d'investimento internazionale nel settore dell'energia, che era quasi raddoppiato nei primi dieci anni di vita. Il fondo comprendeva produttori di petrolio e gas, costruttori di oleodotti e gasdotti, fornitori di energia alternativa e carbone, in rappresentanza di quindici nazioni. Da piccola, non vedevo quasi mai papà; si trovava sempre in qualche remota località, a Singapore, in Nuova Zelanda o Giappone. Si recava spesso anche a Washington D.C. per pranzare con il presidente della Federal Reserve, o a New York per presiedere qualche tavola rotonda in uno dei programmi
televisivi sulla finanza. Fare colazione con mio padre significava sintonizzarsi sulla CNN e guardarlo negli studi televisivi analizzare i trend di mercato mentre noi, a casa, sbocconcellavamo i nostri waffles.
Dotato di un timbro di voce profondo e di una personalità esuberante, papà mi era sempre sembrato un uomo imponente. Soltanto quando divenni adolescente, mi resi conto che fisicamente non era poi così alto, tuttavia un galletto che dominava il pollaio. Disprezzava l'arrendevolezza e temeva che i suoi quattro figli - Gage, Jack, Joe e io - fossero viziati. Perciò quando era fra noi, si prendeva la briga di somministrarci massicce dosi di realismo, come cucchiaiate di un'amara medicina.
Quando mia madre Ava era ancora viva, era copresidente dell'annuale Festival del libro del Texas e durante le pause andava a fumare con Kinky Friedman, il folksinger scrittore. Era una donna affascinante: le sue erano le gambe più sexy di River Oaks e le feste che organizzava le più divertenti. Come si diceva allora, aveva la classe di una Dr Pepper alla spina. Dopo averla incontrata, gli uomini davano al papà del "fortunato bastardo", cosa che gli faceva un tremendo piacere. Lei era più di quanto lui meritasse, aveva proclamato papà a ogni occasione. Affermazione che, però, di solito concludeva con un risolino di scherno, perché aveva sempre creduto di meritare più di quello che gli sarebbe spettato.
Settecento ospiti furono invitati al ricevimento, ma se ne presentarono mille. La gente affollava le sale della nostra villa e all'aperto si stipava sotto l'enorme tendone bianco, ricoperto da milioni di lucine incantevoli e tappezzato da orchidee bianche e rosa. Nel caldo umido della serata primaverile le decorazioni floreali spandevano dolci effluvi profumati.
L'interno era rinfrescato dall'aria condizionata. La sala del buffet era divisa in due da un bancone frigorifero, lungo una decina di metri e ricolmo di ogni genere di frutti di mare. C'erano dodici sculture di ghiaccio fra cui una scolpita a mo' di fontana di champagne e un'altra a mo' di fontana di vodka costellata di caviale. Camerieri in guanti bianchi riempivano di vodka ghiacciata i calici e versavano il caviale su piccoli blini alla panna acida e uova di quaglia in salamoia.
Il buffet caldo, invece, offriva zuppiere di bisque di aragosta e, negli scaldavivande, fette di filetto affumicato al pecari, tonno grigliato e almeno una trentina di antipasti diversi. Avevo partecipato a numerose feste e cerimonie a Houston, ma in vita mia non avevo mai visto tanto cibo accumulato in un unico posto.
Giornalisti del "Houston Chronicle" e del "Texas Monthly" erano presenti e avrebbero parlato del ricevimento cui partecipavano ospiti importanti, come l'ex governatore e il sindaco, un famoso conduttore televisivo, gente di Hollywood e petrolieri. Tutti in attesa di Gage e Liberty, che si erano attardati alla piccola cappella per fare le fotografie.
Nick era abbastanza stordito. Proveniva da una rispettabile famiglia della media borghesia e un tale spettacolo era uno shock per i suoi valori. Anche la mia coscienza sociale, sebbene alle prime armi, era imbarazzata da tanti eccessi. Ero cambiata da quando avevo frequentato Wellesley, il college femminile il cui motto era "Non ministrari, sed ministrare" ("Non essere serviti, ma servire"). Avevo pensato che fosse un buon precetto da imparare, per una come me.
I miei familiari mi avevano preso in giro, dicendo che stavo attraversando una fase liberal. Papà, soprattutto, pensava che fossi il campione vivente della ragazza privilegiata che a un certo punto viene presa dal senso di colpa per le sue ricchezze.
Diressi la mia attenzione nuovamente alle lunghe tavolate con le vivande. Avevo organizzato tutto in modo tale che il
cibo rimasto venisse distribuito ad alcuni ricoveri per i poveri di Houston. La mia famiglia l'aveva trovata una buona idea.
Ma mi sentivo egualmente in colpa. Una falsa liberal, in coda per il caviale.
«Lo sapevi» chiesi a Nick mentre avanzavamo verso la fontana di vodka «che bisogna scavare l'equivalente di una tonnellata di rifiuti per trovare un diamante? Di conseguenza, per produrre tutti i diamanti che ci sono in questa stanza, bisognerebbe scavare quasi l'intera Australia.»
Nick finse di essere sbalordito. «L'ultima volta che ho controllato, l'Australia si trovava ancora al suo posto.» Fece scorrere le punte delle dita sulla mia spalla nuda. «Non prendertela, Haven. Non devi provarmi nulla. So chi sei.»
Eravamo entrambi texani, ma c'eravamo incontrati nel Massachussets. Io ero andata al Wellesley e Nick al Tufts. Lo avevo incrociato a una festa ispirata al tema "Il giro del mondo", organizzata in un grande centro escursionistico di Cambridge. A ogni stanza era stata assegnata una nazione differente, con la bevanda tipica. Vodka per la Russia, whisky per la Scozia, e via dicendo.
In qualche punto, tra il Sud America e il Giappone, andai a sbattere contro un ragazzo dai capelli scuri, con occhi brillanti color nocciola e un sorriso sicuro. Aveva un lungo corpo flessuoso da corridore e l'aria da intellettuale.
Con mio grande piacere, mi si rivolse con l'accento texano: «Forse dovresti concederti una pausa nel tuo tour mondiale. Almeno, finché non sei di nuovo sicura sulle gambe.»
«Sei di Houston» dissi.
Il suo sorriso si distese nell'udire il mio accento. «Nossignora.»
«San Antonio?»
«No.»
«Austin? Amarillo? El Paso?»
«No. No. E, grazie a Dio, neppure.»
«Allora sei di Dallas» notai con dispiacere. «Peccato, praticamente sei uno yankee.»
Nick mi condusse fuori, dove ci sedemmo sui gradini e parlammo per due ore nel freddo pungente.
Ci innamorammo subito. Ero pronta a qualsiasi cosa per Nick, a seguirlo dovunque. Ci saremmo sposati. E sarei diventata la moglie di Nicholas Tanner. Haven Travis Tanner. Nessuno poteva fermarmi.
Quando finalmente giunse il mio turno di ballare con papà, Al Jarreau stava cantando il melodioso ritornello di Accentuate the Positive. Nick era andato al bar coi miei fratelli Jack e Joe, e ci saremmo rivisti più tardi.
Nick era il primo uomo che avevo portato a casa. Il primo uomo che avevo amato. E l'unico con cui fossi andata a letto. Non avevo avuto molte occasioni o altri appuntamenti. Quando la mamma era morta di tumore, avevo quindici anni. E per un paio di anni dopo mi ero sentita troppo giù, troppo in colpa, anche solo al pensiero di avere delle amicizie. Poi ero andata al college femminile, ottimo per la mia educazione ma non altrettanto per la mia vita sentimentale.
Non era stato solo l'ambiente di ragazze a trattenermi. Molte di loro andavano a feste fuori dal campus o incontravano i ragazzi nei corsi integrativi ad Harvard e al MIT. Ero io il problema. Mi mancava qualcosa per attirare la gente, per dare e ricevere amore senza problemi. Era troppo per me. Sembrava che respingessi le persone che mi interessavano di più. Alla fine avevo pensato che far innamorare qualcuno di me era come tentare di persuadere un uccellino a beccare il cibo su un dito... Non sarebbe mai accaduto. A meno che avessi smesso di pensarci in modo ossessivo.
Così avevo rinunciato a pensarci. E, come volevasi dimostrare, proprio allora era accaduto. Avevo incontrato Nick. E ci eravamo innamorati. Lui era tutto quello che volevo. E questo doveva bastare alla mia famiglia. Ma i miei non l'avevano accettato. Allora, mi misi a rispondere a domande che nessuno mi poneva, dicendo, per esempio: «Sono proprio felice». Oppure: «Nick si sta specializzando in economia». Oppure: «Ci siamo conosciuti a una festa studentesca».
L'assenza di interesse da parte di papà e dei miei fratelli per Nick, per la nostra relazione e il nostro futuro, era esasperante. Era come un giudizio in sé, quel loro inquietante silenzio.
«Capisco, dolcezza», aveva commentato Todd, il mio migliore amico, quando al telefono mi ero sfogata con lui. Ci conoscevamo da quando avevamo dodici anni. Allora la sua famiglia si era trasferita a River Oaks. Il padre di Todd, Tim Phelan, era un artista le cui opere erano esposte in tutti i grandi musei, tra cui il MoMa di New York e il Kimbell Art Museum di Fort Worth.
I Phelan avevano sempre sconcertato i residenti di River Oaks. Erano vegetariani, i primi che avessi mai incontrato. Indossavano indumenti spiegazzati di canapa e calzavano sandali Birkenstock. In un quartiere dove predominavano due stili decorativi - l'english country e il texano-mediterraneo - i Phelan avevano dipinto ogni stanza della loro casa di un colore diverso, con atmosfere esotiche e motivi svolazzanti sui muri.
Ma ero ancora più affascinata dal fatto che i Phelan fossero buddhisti. "Buddhista": un termine che avevo sentito ancora più raramente di "vegetariano". Quella volta che chiesi a Todd cosa facessero i buddhisti, mi rispose che passavano molto tempo a contemplare la natura della realtà. Todd e i suoi genitori mi avevano perfino invitata a recarmi a un tempio buddhista con loro. Ma con mia grande delusione, i miei genitori si erano rifiutati. Ero una battista, mi disse mia madre, e i battisti non passano il loro tempo a riflettere sulla realtà.
Todd e io eravamo sempre stati molto intimi, al punto che gli altri pensavano che stessimo insieme. Non eravamo mai stati coinvolti a quel livello, ma il sentimento esistente fra noi non era neanche del tutto platonico. Non sapevo come spiegare cosa Todd rappresentasse per me e io per lui.
Todd era probabilmente l'essere umano più bello che avessi mai visto. Sottile e atletico, aveva i lineamenti fini, i capelli biondi e gli occhi del turchese trasparente del mar dei Caraibi, come si vede nelle fotografie sui dépliant turistici. C'era in lui un tocco felino, diverso da tutti gli altri maschi texani di mia conoscenza, così bulli. Una volta avevo domandato a Todd se fosse gay. E lui mi aveva risposto che uomo o donna gli era indifferente. Era più interessato all'interiorità di una persona.
«Quindi sei bisessuale?» avevo concluso. Lui aveva riso della mia insistenza ad appiccicargli un'etichetta.
«Credo di essere un bi-possibile» mi aveva risposto, premendo un caldo, spensierato bacio sulle mie labbra.
Nessuno mi conosceva, o mi capiva, meglio di Todd. Era il mio confidente. La persona che stava in ogni circostanza al mio fianco, pur non prendendo sempre le mie parti.
«È esattamente ciò che avrebbero fatto i tuoi. L'avevi detto» rispose Todd, quando gli confessai che la mia famiglia ignorava Nick. «Perciò non hai nulla di cui sorprenderti.»
«Anche se non è una sorpresa, non vuol dire che sia meno irritante.»
«Ricordati, però, che questo weekend non riguarda te o Nick, ma i due sposi.»
«I matrimoni non riguardano mai la sposa e lo sposo» affermai. «I matrimoni sono cerimonie pubbliche, il piedistallo di famiglie complicate.»
«Ma bisogna fingere per gli sposi. Perciò lasciati andare, divertiti. E aspetta a parlare di Nick con tuo padre, quando è finito il matrimonio.»
«Todd,» gli avevo chiesto in tono lamentoso «tu hai incontrato Nick. E ti piace, no?»
«Non posso rispondere a questa domanda.»
«Perché?»
«Perché se non lo capisci, niente che possa aggiungere potrebbe fartelo capire.»
«Cosa intendi dire?»
Ma Todd non aveva risposto a questa mia ultima domanda e io avevo riattaccato, sentendomi incompresa e insoddisfatta.
Sfortunatamente il consiglio di Todd andò in fumo, appena cominciai a ballare un foxtrot con papà.
Mio padre era rosso per lo champagne e la soddisfazione. Non aveva fatto mistero con nessuno del proprio desiderio che questo matrimonio fosse celebrato, e la notizia della gravidanza di mia cognata l'aveva rallegrato ancora di più. Le cose stavano procedendo proprio come voleva papà. Ero quasi certa che immagini di nipotini già gli vorticavano in testa. Generazioni di malleabile DNA, tutte a sua disposizione.
Papà aveva il petto carenato, le gambe corte, gli occhi neri e i capelli così folti che era impossibile scorgere il cuoio capelluto. Tutto ciò, oltre al mento alla tedesca, gli dava un certo fascino, anche se non si poteva considerare un uomo avvenente. Aveva sangue indiano, comanche, dal lato materno, e un bel po' di antenati tedeschi e scozzesi che, senza futuro nella loro nazione d'origine, erano emigrati in Texas alla ricerca di terre a buon mercato. Terre che non conoscevano inverni e attendevano solo le loro braccia per produrre prosperità. Invece, in Texas avevano trovato siccità, epidemie, indiani che li assalivano, blatte e scorpioni grandi più di un'unghia di un pollice.
Quei Travis che erano sopravvissuti a tutto ciò rappresentavano gli uomini più coriacei sulla faccia della terra, gente con la spina dorsale dritta, che non si arrendeva mai, finché non aveva ottenuto quello che voleva. Questo spiegava
la cocciutaggine di papà... e anche la mia. Eravamo molto simili, come ripeteva la mamma. Tutti e due pronti a far sempre di testa nostra. Entrambi smaniosi di saltare al di là della linea tirata dall'altro.
«Ehi, papà.»
«Sì, zucca. Dimmi.» Aveva la voce fonda, sicura, di chi non ha mai dovuto compiacere nessuno. «Sei molto graziosa stasera. Mi ricordi tua madre.»
«Grazie.» Gli apprezzamenti di papà erano rari. Mi fece piacere. Per il resto sapevo di avere poco in comune con mia madre.
Indossavo un abito da pomeriggio di satin, di una tinta verde acqua, con le spalline fermate da fibbie di cristallo. E avevo i piedi incapsulati in sandali d'argento, con sette centimetri di tacco. Liberty aveva insistito per farmi l'acconciatura. Aveva impiegato almeno quindici minuti per attorcigliare e puntare i miei lunghi boccoli neri in un modo ingannevolmente semplice, che non sarei mai riuscita a riprodurre. Liberty era solo di pochi anni più grande di me, eppure i suoi gesti erano materni, gentili, come di rado erano state le maniere di mia madre.
«Ecco» aveva mormorato Liberty una volta terminata la pettinatura. Aveva preso il piumino per incipriarmi il naso. «Perfetta.»
Era veramente difficile non provare simpatia per Liberty.
Mentre ballavo con papà, uno dei fotografi si avvicinò. Ci chinammo l'uno verso l'altra e con i visi accostati sorridemmo all'accecante lampo bianco. Dopo il flash tornammo alla distanza precedente.
«Domani, Nick e io torneremo nel Massachusetts» dissi. Avevo acquistato due biglietti in business class con la mia carta di credito. Dal momento che papà pagava la mia carta di credito, non potevo ignorare che fosse a conoscenza che il biglietto di Nick era stato pagato da me. Ma non aveva detto
nulla al riguardo. Per il momento. «Prima di partire» continuai «Nick desidera parlarti.»
«Non vedo l'ora.»
«Papà, vorrei che fossi gentile con lui.»
«Qualche volta ho le mie ragioni per non essere gentile. È un modo per vedere di che pasta uno è fatto.»
«Non hai bisogno di provare Nick. Devi solo rispettare le mie scelte.»
«Intende sposarti» disse papà.
«Sì.»
«E così pensa di comprarsi un biglietto di prima classe per il resto della vita. Ecco, tutto quello che rappresenti per lui, Haven.»
«Non hai mai pensato che qualcuno possa amarmi solo per quello che sono e non per i nostri soldi?»
«Non quello lì.»
«Spetta a me deciderlo» replicai. «Non a te.»
«Hai già deciso» disse papà.
Sebbene non si trattasse di una vera e propria domanda, annuii. Sì, avevo preso una decisione.
«Allora non chiedermi il permesso» proseguì papà. «Hai fatto una scelta e ne accetterai le conseguenze. Dannazione, tuo fratello non mi ha mai chiesto cosa pensassi del suo matrimonio con Liberty.»
«Ovvio. Tu hai fatto tutto il possibile per spingerli insieme. Tutti sanno che vai pazzo per lei.» Sorpresa dall'ombra di gelosia nella mia stessa voce, proseguii rapidamente: «Papà, non possiamo fare tutto normalmente? Io porto il mio fidanzato a casa, tu fingi di trovarlo simpatico, io vado avanti con la mia vita e ci vediamo in tutte le feste comandate». Atteggiai la bocca a un sorriso. «Ti prego, papà: non metterti di mezzo. Lasciami solo essere felice.»
«Non sarai felice con lui. È un perdente.»
«E come fai a dirlo? Avrai passato a malapena un'ora in compagnia di Nick.»
«Ho vissuto abbastanza per essere in grado di riconoscere un perdente, appena ne incontro uno.»
Non pensavo che avessimo alzato tanto il tono di voce, eppure cominciavamo a incrociare sguardi incuriositi. Mi resi conto che non era nemmeno necessario che alzassimo la voce, perché gli altri notassero la nostra discussione. Lottai per riprendere il controllo e continuai a muovere meccanicamente i piedi nei passi di danza. Ero fuori ritmo, ma non smisi di ballare.
«Ogni uomo che potrei desiderare, per te sarebbe un perdente» dissi. «A meno che non l'abbia scelto tu.»
Giudicai questa mia affermazione sufficientemente vera, per far sbottare mio padre. Che, invece, mi disse: «Ti concederò il permesso di sposarti. Ma dovrai trovarti qualcuno altro che ti accompagni all'altare. E non comparirmi davanti quando ti serviranno soldi per divorziare. Se lo sposi, ti escludo dall'eredità. Nessuno di voi due riceverà un soldo da me, capito? Se ha le palle per parlare con me domani, gli dirò proprio questo.»
«Grazie, papà.» Mi scostai da lui appena la musica cessò. «È stato veramente bello ballare con te.»
Mentre abbandonavo la pista da ballo, fui sfiorata da Carrington, che si stava precipitando a braccia aperte da mio padre. Era la sorellina di Liberty. «Tocca a me» gridò, come se ballare con Churchill Travis fosse la cosa migliore al mondo.
Pensai amaramente che, quando avevo nove anni, anch'io avevo provato la stessa sensazione.
Mi feci strada tra la folla. Riuscivo a distinguere solo bocche. Bocche che parlavano e ridevano. E bocche che
bevevano, mangiavano e lanciavano baci nell'aria. Il rumore, accumulandosi, mi offuscava la mente.
Diedi un'occhiata all'orologio a muro, appeso all'ingresso, un antico modello Ball che un tempo scandiva i minuti per la ferrovia Buffalo Bayou, Brazos & Colorado.
Erano le ventuno. Fra circa mezz'ora avrei dovuto incontrarmi con Liberty in una delle camere da letto al piano superiore. L'avrei aiutata a cambiarsi, per indossare il suo completo da viaggio. Non vedevo l'ora che finissero tutti quei riti. In un'unica serata, riuscivo a tollerare solo una dose di occhi umidi per la felicità.
Lo champagne mi aveva messo sete. Andai in cucina, dove trovai schierato l'intero staff dell'impresa di catering. Riuscii a trovare un bicchiere pulito in uno dei pensili. Lo riempii d'acqua del rubinetto e mi dissetai con lunghe sorsate.
«Mi scusi» disse un cameriere, cercando di farsi largo con uno scaldavivande fumante.
Mi accostai alla parete per lasciarlo passare e così scivolai nel salone ovale per le cene.
Con mio grande sollievo, colsi il profilo e le spalle di Nick, sotto lo scuro arco d'ingresso alla cantina di degustazione. Aveva già oltrepassato il cancelletto di ferro battuto, che aveva lasciato socchiuso. Sembrava che si stesse dirigendo verso la cantina a volta, foderata di botti in quercia il cui profumo addolciva l'aria. Pensai che il mio ragazzo si fosse stancato della folla e fosse venuto sul luogo del nostro appuntamento in anticipo. Volevo che mi abbracciasse. Avevo bisogno di un istante di pace in mezzo a quel chiasso assordante.
Costeggiando il tavolo imbandito per la cena, mi diressi verso la cantina. Il cancelletto si richiuse dietro di me con un suono netto. Raggiunsi con la mano l'interruttore, spensi la luce e scesi la scala.
Udii Nick mormorare «Ehi...»
«Sono io.» Mi fu facile individuarlo nell'oscurità. E feci una risata sommessa, quando con i palmi delle mani gli strofinai le spalle. «Come ti dona lo smoking.»
Fece per dire qualcosa, ma gli abbassai la testa finché la mia bocca socchiusa gli sfiorò il mento. «Mi sei mancato» sussurrai. «Non hai fatto neppure un ballo con me.»
Lui smise di respirare per un attimo e per un attimo io vacillai sui tacchi alti, mentre le sue mani si univano alle mie. Aspirai l'aroma zuccherato dei vini ma qualcos'altro mi riempì le narici ... un odore di pelle di maschio, pelle fresca come noce moscata o zenzero... o un altro aroma bruciato dal sole. Facendo pressione sulla nuca, incitai la sua bocca ad abbassarsi verso la mia e vi trovai un languido calore. Il gusto di champagne si sciolse nel morbido, intimo sapore di lui.
Con una mano mi percorse la spina dorsale, provocandomi un brivido e un dolce shock, quando il palmo caldo incontrò la mia pelle nuda. Sentii la forza della sua mano, e la dolcezza, nel momento in cui si chiuse sulla mia nuca, spingendomi la testa indietro. Le sue labbra sfiorarono appena le mie, fu la promessa di un bacio più che un bacio vero. Al lieve tocco delle sue labbra esalai un corto respiro e rimasi con il viso rivolto verso l'alto, desiderosa d'altro. Ed ecco una nuova fitta di piacere, una pressione vertiginosa nell'attimo in cui mi forzò la bocca con la sua. La lingua mi entrò in profondità, solleticando zone sensibili.
Cercai di circondarlo, trattenendolo con il mio corpo arcuato. La sua lingua si muoveva lentamente, mentre esplorava la mia bocca. Baci duri all'inizio che poi si sciolsero come sfatti al loro calore. Il piacere si fece più intenso, forti correnti di desiderio mi percorrevano, trasportando eccitazione. Non mi resi conto che stavo indietreggiando, premetti con le reni il bordo del tavolo di degustazione dei vini, la sua estremità appuntita mi entrò nella carne. Allora Nick mi sollevò con sorprendente facilità e mi ritrovai seduta sulla superficie gelida del tavolo. Mi aprì la bocca nuovamente, più a
lungo, più in profondità, con la sua lingua, mentre cercavo di raggiungere la sua e di attirarlo il più possibile dentro me. Desideravo stendermi, offrirmi a lui su quel marmo freddo e lasciargli fare quello che voleva. Qualcosa aveva sciolto i miei freni. Ero eccitata, come fossi ubriaca, e un motivo era che Nick, sempre così controllato, adesso mi sembrava stesse combattendo per trattenersi. Il suo respiro era irregolare, con le mani mi abbrancò il corpo.
Mi baciò il collo, scese lungo la pelle sottile ed eccitabile, finché le sue labbra sfiorarono il mio cuore pulsante. Ansimando, feci scorrere le dita fra i suoi capelli, così morbidi e folti, strati di seta sotto i miei polpastrelli.
Ma non erano i capelli di Nick!
Rabbrividii. Come se un pugno gelido mi avesse colpito allo stomaco. «Dio mio.» Fui appena in grado di emettere quelle due parole. Toccai il volto immerso nell'oscurità, incontrai lineamenti sconosciuti, la superficie della barba rasata e dura. Gli angoli degli occhi mi bruciavano, ma non sapevo se fossero lacrime di imbarazzo, di rabbia, paura o delusione. O qualche strana miscela di tutte queste sensazioni.
«Nick?»
Il mio polso fu circondato da una mano forte. Una bocca si strofinò dolcemente sulle mie dita aperte. E un bacio mi bruciò il centro del palmo.
Poi udii una voce fumosa e così profonda che avrei giurato provenisse dall'inferno. «Chi è Nick?»
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in uscita il 13 Novembre 2012
Dopo aver raccontato i momenti drammatici che hanno marchiato la sua infanzia in un libro parzialmente autobiografico, Mauro Corona abbandona i toni più cupi per passare a una narrazione più agile e leggera. "Basta drammi, disgrazie e morti ammazzati", esiste un tempo per alleviare l'animo dal dolore, per recuperare storie antiche perdute tra i boschi, racconti veri che l'autore ha ascoltato e raccolto in giro, a Erto e dintorni. Momenti di vita di montagna e di paese che diventano aneddoti, episodi esilaranti, addirittura miti e leggende da tramandare alle generazioni future. Storie come quella di Rostapita, Clausura e Santamantiglia, riuniti per ammazzare il maiale ma troppo ubriachi per riuscire a farlo, o come quella di don Chino, prete in gioventù affascinante ora anziano e acciaccato tanto da non riuscire a inerpicarsi per benedire la casa più arroccata del paese, quella di Polte che, per ripagarlo del mancato servizio, quasi lo ammazza lanciandogli addosso una forma di formaggio. Espedienti, soluzioni per guadagnarsi in qualche modo la vita, storie bizzarre e anche un po' magiche che non mancano di far riflettere, ma soprattutto: "roba da ridere, in un mondo che non sa più ridere".
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