Salve a tutti amattissimi lettori di Bookcret! Pochi giorni fa io e Pamela abbiamo deciso di aprire una nuova iniziativa per tutti gli scrittori del blog e dare loro la possibilità di pubblicare i loro racconti nel sito così che gli altri lettori possano commentare, complimentare o fare delle critiche costruttive. Fino ad ora abbiamo pubblicato due bellissimi racconti, quello di Lorenza e Marta. Oggi invece vogliamo pubblicare lo splendido racconto di una nuova lettrice, Italia. Lo scritto risulta essere il primo capitolo di un libro intitolato: "Non c'è niente di cui aver paura, è solo amore". Il libro narra la storia di un giovane adolescente, Lukas, alle prese con un amore proibito e un passato burrascoso, non ancora dimenticato, che lascia il suo segno in ogni gesto quotidiano.
Dedica dell'autrice:
"Se il mio racconto esiste, è merito di mio padre, che ringrazio prima di tutti,
infatti è stato lui a trasmettermi la sua grande passione per i libri, che io ho
elaborato trasformandola poi in passione per la scrittura. Questo racconto
in particolare è frutto della mia seconda grande passione: quella per i film,
che mi ha portata un giorno a conoscere un lungometraggio ambientato in Svezia,
Paese che mi ha affescinata molto e che ho scelto come ambientazione.
So che
al lettore, perchè sono una lettrice anche io, tutto questo interessa
relativamente, quindi concludo la mia breve introduzione con un ulteriore
ringraziamento a mio padre e a tutti coloro che mi hanno incoraggiata a
scrivere.
Dedico il mio lavoro ai soldati e ai civili che hanno perso la vita
in tutte le guerre che infiammano il mondo, in particolare a quelli che hanno
lottato per il nostro Paese.
Con affetto, Italia."
Cari lettori, buona lettura!
I Capitolo
Sono le quattro del mattino, è presto, è freddo, è fastidioso svegliarsi a quell'ora. Lukas non lo ha mai sopportato, per fortuna gli è capitato solo due volte: il giorno della prima gita scolastica e quando suo padre se n'era andato. Con questa facevano tre. I suoi tredici anni dieci mesi e un giorno erano stati lunghi abbastanza perché il ragazzo potesse veder andare via due persone molto importanti per lui: sua nonna Bonnie, che ora, consumata dai suoi novantasei anni, lo guardava dal cielo; e suo padre, perché i suoi avevano divorziato e lui se n'era andato a vivere a Voldesland, in coabitazione con un amico. Lukas era stato affidato a sua madre, e si era aspettato che cambiassero casa, che cambiassero vita, che cambiassero città. Invece no. Non fecero niente, rimasero esattamente lì dov'erano, come se il trasferirsi di suo padre avesse congelato il tempo. Restarono in quel palazzone grigio come il cielo di città, quel cielo che ogni mattina autunnale riservava una nube densa e grigia di nebbia agli abitanti di Stoccolma. Perché quella era Stoccolma, non vivevano mica a Roma o Berlino, che se ti va bene trovi il sole che almeno un po' ti rallegra. Vivere a Stoccolma significa essere freddi come il clima, significa che si esce di inverno a -26 gradi centigradi e non si fa una piega perché quello era il Nord, il Nord che non concedeva un giorno di serenità. Ma a Lukas sarebbe piaciuto abitare a Roma o Berlino, avrebbe voluto essere italiano o tedesco, o magari russo o ucraino o finlandese o bosniaco o macedone o albanese o libico o sudafricano. Tutto ma non svedese. Il perché? Semplice, perché l'erba del vicino è sempre più verde. E Lukas odiava vivere tra tutti quei nazionalisti, avrebbe preso quella maledetta bandiera dalle mani del professore e ci avrebbe sputato sopra, ne sentiva l'impulso ogni volta che quel vecchio maledetto tirava fuori quel rettangolino di stoffa azzurro con la croce nordica gialla per raccontare le gesta degli avi, che poi, in effetti non avevano mai fatto nulla di speciale. Solo che non poteva, una cosa del genere gli sarebbe costata l'espulsione, ovvero un sacco di botte da sua madre e suo padre, una grande delusione per tutti e poi, no, non ne valeva la pena, a scuola aveva anche discreti risultati. Così per scaricarsi da quella pesantezza, dopo la lezione di storia chiedeva sempre di andare in bagno. Attraversava il corridoio lungo ma stretto, con le piastrelle rosa mattone a terra e bianche sui muri. Da far venire il voltastomaco. Il bagno? Poco peggio. Sembrava il ripostiglio di un carcere, altro che Svezia civile, come diceva sempre il suo insegnante di matematica. Ma era quello, e per raggiungere l'altro avrebbe dovuto attraversare tutto l'edificio, e non ne aveva voglia. Così puntualmente si spingeva nella stanza. Qualcuno aveva cancellato con un pennarello nero la scritta 'Toilette ' e l'aveva rettificata con 'Cesso'. L'inchiostro era vecchio, doveva essere stato qualcuno che a quest'ora aveva famiglia e lavoro. In comune con Lukas aveva solo che quel posto gli faceva schifo. Arrivato a WC si inginocchiava davanti a questo e, dopo essersi assicurato che la porta fosse chiusa, si cacciava due dita in bocca e vomitava. Vomitava la storia degli avi, secondo lui. Invece vomitava solo latte e cereali. Il bello della sua scuola era solo che era immensa. Se ci si affacciava da una qualsiasi stanza si poteva leggere ' Istituto Scientifico maschile "Alfred Nobel"' Maschile, perché lì l'unica femmina che ci fosse mai entrata era l'anziana bidella, e un paio di segretarie sulla cinquantina. Ma tanto a lui le femmine non piacevano, lo sapeva da un po'. Solo che non lo diceva a nessuno. Sua madre l'avrebbe compatito troppo, e i suoi compagni l'avrebbero fatto sentire uno schifo. Così se lo teneva per lui. Mica era scemo. Dopo tutto quel pensare si voltò verso l'orologio, sperava almeno che fossero le cinque. Invece erano appena le quattro e dieci.
Ringraziamo infinitamente Italia per aver deciso di pubblicare e condividere con noi il suo racconto e per averci inviato un così bel capitolo. Il primo di molti altri.
Grazie,
Bookcret.