in vista alla pubblicazione del secondo romanzo di una nuova trilogia erotica, vorrei parlarvi del primo volume: “A nudo per te” di Sylvia Day. Un romanzo che non può non piacere alle amanti del genere e alle stimatrici di E. James. L'autrice di “Cinquanta sfumature di grigio, nero, rosso”.
Titolo: A nudo per te
Autore: Sylvia Day
Editore: Mondadori
N. pagine: 334
Recensione eseguita da Ilaria
Trama:
Lei è Eva Tramell, giovane neolaureata che sta per iniziare il suo primo lavoro in un'importante agenzia pubblicitaria a Manhattan. Lui è Gideon Cross, carismatico e affascinante uomo d'affari, proprietario dell'agenzia e del lussuoso palazzo in cui entrambi lavorano. Quando si incontrano, l'attrazione tra loro è istantanea e irresistibile, di quelle che non lasciano scampo. Gideon desidera Eva sopra a ogni cosa, ma rifiuta qualunque coinvolgimento sentimentale, perché non vuole mescolare sesso e amore. Eva, dal canto suo, è travolta da una passione che non pensava avrebbe mai provato, ma non accetta di farsi trattare come un semplice oggetto del desiderio o una trattativa d'affari da portare a termine rapidamente e con successo, cosa a cui lui è abituato da sempre. Entrambi devono fare i conti con un passato difficile e tormentato, e quando inizia a farsi strada un sentimento più profondo, le barriere che hanno faticosamente costruito negli anni per proteggersi rischiano inevitabilmente di crollare. Sullo sfondo della New York sfavillante dell'alta finanza, dove apparenza e ricchezza contano più di ogni altra cosa, Eva e Gideon sono costretti a mettersi totalmente in gioco e a lasciarsi andare alla loro ossessione. "A nudo per te" è il primo romanzo della Crossfire Trilogy.
Recensione:
I protagonisti di questa saga sono Eva Tramell e Gideon Cross. Lei si è appena trasferita a Manhattan da San Diego per lavorare come assistente, in una delle più importanti agenzie pubblicitarie degli Stati Uniti, la Field & Leaman. Lui è il proprietario del palazzo nel quale risiede l'agenzia per cui lavora lei. Non che proprietario del palazzo in cui vive Eva, di una palestra e di vari locali notturni. Un uomo ricco, sexy e bellissimo. Tra i due è attrazione a prima vista, si vogliono, si cercano, si amano, ma il passato torna sempre. Ed entrambi nella loro vita hanno sofferto tantissimo. L'incognita è scoprire se due persone così “malate”, “distrutte” possano costruire qualcosa. Per molti questo romanzo potrebbe essere il copia e incolla della trilogia di E.James. Ma sin dalle prime pagine si capisce che il livello narrativo e linguistico sono nettamente superiori. I personaggi sono più convincenti e meno idealizzati. Il loro passato è più spaventoso e lascia ripercussioni evidenti nel loro rapporto sessuale. E tra l'altro dimenticatevi l'impacciata, timida, e insicura Anastasia qui abbiamo Eva. Una donna decisa, forte, determinata che non si lascia sopraffare. Una controparte femminile degna del tenebroso e dominante compagno.
Sia Eva che Gideon hanno problemi con le loro famiglie. La mamma di Eva ha alle spalle vari matrimoni. E ricca di sensi di colpa perché non è riuscita a proteggerla quando era piccola, tiene a metterle sotto controllo il telefono, con l'aiuto del nuovo marito Richard Stanton, il proprietario di una compagnia telefonica. Il padre, invece, è un poliziotto. Vive a Oceanside, dall'altra parte del paese. Di conseguenza se prima riuscivano a vedersi almeno una volta alla settimana ora non ne hanno più la possibilità. Gideon, al contrario, disprezza la sua famiglia, tanto che non desidera neanche avvicinarsi alla loro abitazione. E soprattutto dal romanzo emerge un profondo conflitto con il fratello Christopher. Il fratello prova astio e rancore per non aver ricevuto tutte le attenzioni che sembravano dare a Gideon. Per questo desidera tutto ciò che appartiene a Cross. Il padre di Gideon, invece, si è suicidato quando era ancora molto piccolo. Nel libro viene spiegata la drammatica vicenda di Eva, mentre per quella di Gideon penso bisogna aspettare la pubblicazione del secondo volume. Prevista per il 19 febbraio, intitolato “riflessi di te”. Anche se alcune affermazioni farebbero intuire che alla base della sofferenza di Gideon ci sia la madre, Elizabeth. Una madre che forse lo ha amato eccessivamente...
Entrambi sono molto gelosi dell'altro. Eva vive insieme a un suo amico bisessuale Cary. Sexy, bellissimo, affascinante, immaturo e sfaccendato, che farà ingelosire moltissimo Cross. Gideon invece intrattiene ancora un legame con la sua ex fidanzata, Corinne. Questo farà vacillare il loro rapporto mettendo in discussione la loro unione. Le scene di sesso sono esplicite e per niente volgari. Attraverso l'amore Eva cerca di lasciarsi il passato alle spalle, condividento tutta se stessa con il compagno. Qui a differenza di “cinquanta sfumature” non abbiamo una stanza rossa. Ma il protagonista, come Chrstian Gray, predilige alcune pratiche sessuali che spaventano Eva, sempre a causa del suo dramma.
Gideon è un uomo che avendo il controllo sulla propria agenzia deve averlo anche sulla sua vita sessuale. Quindi inizialmente per lui sarà difficile confrontarsi con una donna così decisa e forte.
Se all'inizio il rapporto tra Anastasia e Christian era basato sul sesso e nient'altro, quello tra Eva e Gideon si basa sulla fiducia e sull'amore. Tra i due non vi è nessun accordo. Fin dal loro primo incontro si percepisce un'intensa attrazione che sembra sfociare in un amore puro e sincero. Non vi è alcun dominatore e sottomessa, ma solamente un fidanzato innamorato e geloso della sua fidanzata. Entrambi vivono questa storia con timore e reverenza poiché in passato non hanno mai vissuto una relazione simile. Le scene hot che all'apparenza sembrano crude fanno emergere la loro profonda alchimia sessuale. Non disturbano la lettura, ma al contrario la rendono più avventurosa e intrigante. Il linguaggio è semplice, per niente volgare, anche se vi sono riferimenti sessuali espliciti. Se dovessi esprimere un giudizio nel mettere a confronto la Day con la James, potrei affermare che la seconda abbia creato un romanzo molto simile a “a nudo per te”, senza riuscire a trasmettere le stesse emozioni. Creando un volume puramente sessuale, senza alcun valore morale e affettivo. Mentre gli ultimi due, a mio avviso, sono molto più piacevoli e appassionanti.
Il mio giudizio complessivo sul libro è positivo. Aspetto con ansia la pubblicazione del secondo volume. Pertanto non posso non consigliare alle amanti del genere la lettura di questa nuova trilogia erotica.
Estratto I Capitolo:
«Dovremmo uscire a festeggiare.»
Non mi sorpresi della proposta del mio coinquilino. Per Cary Taylor qualunque scusa era buona per festeggiare. L’ho sempre considerato parte del suo fascino. «Bere la notte prima di cominciare un nuovo lavoro non mi pare una buona idea.»
«E dài, Eva.» Cary si sedette sul pavimento del salotto del nostro nuovo appartamento, in mezzo agli scatoloni del recente trasloco, e sfoderò il suo sorriso vincente. Stavamo disfacendo pacchi da giorni, eppure lui aveva comunque un aspetto fantastico. Fisico asciutto, capelli scuri e occhi verdi, Cary era il tipo d’uomo che raramente risulta meno che stupendo. Lo avrei odiato, se non fosse stato la persona che mi era in assoluto più cara.
«Non dico di sbronzarsi» insisté lui. «Solo un bicchiere di vino o due. Possiamo farci un happy hour e rientrare per le otto.»
«Non so se ce la faccio» obiettai, indicando la mia tenuta sportiva. «Dopo che avrò sperimentato il percorso a piedi per andare al lavoro, farò un salto in palestra.»
«Più in fretta cammini, più velocemente ti alleni» commentò Cary con un’alzata di sopracciglia che mi fece sorridere. Ero assolutamente convinta che un giorno la sua faccia da un milione di dollari sarebbe comparsa ovunque sui cartelloni pubblicitari e sulle riviste di moda. Qualunque sua espressione mandava KO.
«Facciamo domani dopo il lavoro?» rilanciai. «Se riuscirò ad arrivare a sera, allora sì che varrà la pena di festeggiare.»
«Affare fatto. Preparo io la cena nella nuova cucina.»
«Mmh…» Cucinare era uno dei piaceri di Cary, ma non era tra le cose che gli riuscivano meglio. «Ottimo.»
Mi sorrise, soffiandosi via un ciuffo di capelli dal volto. «Abbiamo una cucina che farebbe invidia a molti ristoranti. Non c’è modo di sbagliare là dentro.»
Non troppo convinta, lo salutai con un cenno della mano e uscii, evitando con cura quell’argomento. Scesi con l’ascensore al pianterreno e sorrisi al portiere, quando mi spalancò la porta d’ingresso con un gesto plateale.
Non appena misi piede in strada, fui avvolta dagli odori e dai suoni di Manhattan, che mi fecero venire voglia di andare in esplorazione. Non solo ero dall’altra parte del paese rispetto a San Diego, dove abitavo prima, ma mi sembrava di essere in un’altra galassia. Due grandi metropoli: una inesorabilmente sobria e sensualmente pigra, l’altra brulicante di vita e di energia. Nei miei sogni immaginavo di vivere in un palazzo di Brooklyn senza ascensore, ma poiché ero una figlia coscienziosa mi ero invece sistemata nell’Upper West Side. Se Cary non avesse accettato di diventare mio coinquilino, sarei stata tristemente sola in quell’enorme appartamento, che costava al mese più di quello che la maggior parte della gente guadagnava in un anno.
Il portiere si rivolse a me togliendosi il berretto. «Buonasera, Miss Tramell. Ha bisogno di un taxi?»
«No, grazie, Paul.» Mi dondolai sulle scarpe da ginnastica. «Andrò a piedi.»
Lui sorrise. «La temperatura è più fresca, da oggi pomeriggio. Si dovrebbe stare bene.»
«Mi hanno detto di godermi il clima di giugno, prima che diventi terribilmente caldo.»
«È un ottimo consiglio, Miss Tramell.»
Uscendo da sotto la tettoia di vetro dell’entrata, che per quanto moderna non stonava con il palazzo d’epoca, mi incamminai, godendomi la relativa quiete della via alberata, prima di raggiungere il traffico di Broadway. Per ora continuavo a sentirmi una finta newyorkese, anche se speravo che, in un futuro non troppo lontano, sarei riuscita ad ambientarmi meglio. Avevo una casa e un lavoro, ma diffidavo ancora della metropolitana e fermare un taxi con la mano mi creava qualche problema. Cercavo di non andarmene in giro con gli occhi sgranati e l’aria stupita, ma era difficile. C’era così tanto da vedere e provare!
L’impatto sensoriale era sbalorditivo: l’odore dei fumi di scarico delle auto mescolato a quello del cibo venduto nei chioschi ambulanti, le grida dei venditori miste alla musica degli artisti di strada, l’impressionante gamma di facce, stili e accenti, le meraviglie dell’architettura moderna… E le macchine. Mio Dio! Il flusso incessante delle auto incolonnate era qualcosa che non avevo mai visto.
C’erano sempre un’ambulanza, un’auto della polizia o un’autopompa che, a sirene spiegate, cercavano di aprirsi un varco fra i taxi. Gli enormi camion della spazzatura che avanzavano nelle stradine a senso unico e i veicoli dei pony express che sfidavano il traffico per rispettare i tempi di consegna mi mettevano in soggezione.
I veri newyorkesi si muovevano con destrezza in mezzo a tutto ciò, sempre a proprio agio in quella città che amavano e che trovavano rassicurante e confortevole come il paio di scarpe preferite. Non osservavano romanticamente deliziati il vapore che si levava a ondate dai tombini e dalle grate dei marciapiedi e non sbattevano le palpebre stupiti quando il suolo vibrava sotto i loro piedi al passaggio della metropolitana che ruggiva nelle profondità del suolo, mentre io sorridevo come un’idiota e rattrappivo le dita dei piedi. New York era per me un nuovo amore. Ero una sognatrice e si vedeva.
Così dovetti fare un autentico sforzo per assumere un’aria disinvolta mentre mi dirigevo verso l’edificio nel quale avrei lavorato. Per quanto riguardava il lavoro, almeno, avevo fatto a modo mio. Volevo guadagnarmi da vivere grazie ai miei meriti, il che significava fare un po’ di gavetta. A partire dal giorno successivo sarei stata l’assistente di Mark Garrity alla Waters, Field & Leaman, una delle più importanti agenzie pubblicitarie degli Stati Uniti. Il mio patrigno, il superfinanziere Richard Stanton, era rimasto contrariato quando avevo accettato quell’impiego, facendomi notare che, se fossi stata meno orgogliosa, avrei potuto lavorare per un suo amico e sfruttare le sue conoscenze.
“Sei testarda come tuo padre” mi aveva detto. “Con il suo stipendio da poliziotto impiegherà una vita a rimborsare il debito contratto per pagarti gli studi.”
Quello era stato uno scontro duro, perché mio padre si era rifiutato di cedere. “Dovranno passare sul mio cadavere prima che un altro uomo possa pagare l’istruzione di mia figlia” aveva detto Victor Reyes quando Stanton si era fatto avanti con la proposta. Rispettavo la sua decisione e sospettavo che la rispettasse pure Stanton, anche se non l’avrebbe mai ammesso. Capivo la posizione di entrambi, perché anch’io avevo combattuto la mia battaglia per ripagarmi senza l’aiuto di nessuno il prestito studentesco… e l’avevo persa. Mio padre ne faceva una questione d’orgoglio. Mia madre si era rifiutata di sposarlo, ma lui era sempre stato determinato a ricoprire il suo ruolo di padre in tutti i modi.
Adesso, comunque, non aveva senso rimuginare su vecchie questioni, per cui mi concentrai su come arrivare al lavoro il più velocemente possibile. Avevo scelto apposta di cronometrare il breve tragitto durante l’ora di punta del lunedì, perciò fui contenta quando raggiunsi il Crossfire Building – dove aveva sede la Waters, Field & Leaman – in meno di trenta minuti.
Alzai la testa e seguii il profilo dell’edificio fino al sottile nastro di cielo che ne coronava la sommità. Il Crossfire era davvero impressionante: una guglia slanciata di zaffiro scintillante che bucava le nuvole. Sapevo dai colloqui che avevo avuto lì in precedenza che gli ambienti interni al di là della porta girevole profilata di rame erano altrettanto impressionanti: pavimenti e pareti di marmo dalle venature dorate, banco della reception e tornelli di alluminio luccicante.
Estrassi il mio nuovo badge dalla tasca dei pantaloni e lo mostrai ai due addetti alla sicurezza in completo nero all’ingresso. Mi fermarono ugualmente – senza dubbio a causa del mio abbigliamento eccessivamente informale – ma alla fine mi lasciarono passare. Una volta arrivata al ventesimo piano, avrei avuto un’idea precisa del tempo necessario a compiere l’intero percorso casa-ufficio.
Stavo raggiungendo gli ascensori quando la borsa di una brunetta snella e magnificamente curata si impigliò in un tornello, capovolgendosi e rovesciando sul pavimento di marmo un diluvio di monete, che rotolarono via allegramente. Vidi la gente scansarle e proseguire come se nulla fosse. Feci una smorfia di solidarietà alla donna e mi chinai per aiutarla a raccogliere il denaro, insieme a uno dei due addetti alla sicurezza.
«Grazie» mi disse lei, scoccandomi un sorriso rapido e tirato.
Le sorrisi a mia volta. «Nessun problema. Ci sono passata anch’io.»
Mi ero appena accovacciata per recuperare una monetina accanto all’ingresso quando mi imbattei in un lussuoso paio di oxford nere che spuntavano da un paio di pantaloni impeccabili anch’essi neri. Aspettai un attimo che il loro proprietario si spostasse di lato e, poiché non lo fece, alzai lo sguardo. L’abito a tre pezzi su misura colpì più d’uno dei miei punti sensibili, ma era il corpo alto e straordinariamente in forma che lo indossava a renderlo sensazionale. Eppure, per quanto sexy e virile fosse quel magnifico esemplare di maschio, fu solo quando arrivai al suo volto che andai letteralmente al tappeto.
Wow. Cioè… Wow.
Lui si accucciò elegantemente davanti a me, all’altezza dei miei occhi. Ipnotizzata, non potei fare a meno di fissare sbalordita quel fulgido esempio di virilità. Ero pietrificata.
Poi qualcosa nell’atmosfera fra noi cambiò.
Mentre lui contraccambiava il mio sguardo, la sua espressione mutò… come se un velo fosse caduto dai suoi occhi, rivelando una forza di volontà rovente, che mi tolse il fiato. Il forte magnetismo che emanava crebbe d’intensità, diventando un’impressione quasi tangibile di vibrante e inesorabile potere.
Istintivamente mi ritrassi, perdendo l’equilibrio. E caddi.
I gomiti mi pulsavano per l’impatto violento con il pavimento, ma avvertii a malapena il dolore. Ero troppo occupata a fissare l’uomo che mi stava di fronte. Capelli nero inchiostro incorniciavano un volto mozzafiato. I suoi lineamenti avrebbero reso felice qualunque scultore, mentre la bocca ben sagomata, il naso sottile come una lama e un paio di intensi occhi blu rendevano quell’uomo selvaggiamente bello. Le sue palpebre si socchiusero appena, mentre il resto del viso rimaneva studiatamente impassibile.
Sia la camicia sia l’abito erano neri, ma la cravatta si abbinava perfettamente al colore brillante delle sue iridi. Il suo sguardo acuto, penetrante e indagatore mi trapassò. Sentii il cuore accelerare i battiti e schiusi le labbra per respirare più velocemente. Aveva un odore dalle sollecitazioni peccaminose. Non di acqua di colonia. Di bagnoschiuma, forse, o di shampoo. Qualunque cosa fosse, faceva venire l’acquolina in bocca, come lui.
Mi tese una mano, mettendo in mostra dei gemelli di onice e un orologio dall’aria molto costosa.
Con un sospiro misi la mano nella sua. Le mie pulsazioni accelerarono bruscamente, quando lui serrò la presa. Il suo tocco era elettrico e mi trasmise lungo il braccio una scossa che mi fece venire la pelle d’oca. Per un momento, lui non si mosse, la fronte aggrottata tra le sopracciglia dal taglio arrogante.
«Tutto bene?»
Il suo accento era colto e privo di inflessione e la sua voce aveva un sottofondo roco che mi causò una stretta allo stomaco e mi eccitò: sesso, sesso fantastico. Per un attimo immaginai che quell’uomo avrebbe potuto portarmi all’orgasmo solo parlandomi.
Mi passai la lingua sulle labbra secche prima di rispondere: «Sto bene».
Lui si rialzò con facilità e naturalezza, facendo rialzare anche me. Continuammo a guardarci, anche perché io ero incapace di distogliere lo sguardo. Lui sembrava più giovane rispetto alla primissima impressione. Non doveva avere neppure trent’anni, ma i suoi occhi erano smaliziati. Duri, taglienti e intelligenti.
Mi sentivo attratta da quell’uomo, come se avessi una corda legata alla vita e lui la stesse lentamente, inesorabilmente tirando.
Sbattei le palpebre per uscire dallo stato di semistordimento in cui ero piombata e lasciai la sua mano. Non era solo bello, era… affascinante: il tipo di uomo che fa desiderare a una donna di strappargli di dosso la camicia e osservare i bottoni che saltano via insieme alle proprie inibizioni. Lo ammirai nel suo completo formale e scandalosamente costoso e istintivamente mi immaginai una scopata selvaggia e primitiva.
Si chinò per raccogliere il mio badge, che non mi ero accorta di aver lasciato cadere, e mi liberò per un attimo dal suo sguardo provocante. Recuperai a fatica le mie facoltà mentali.
Ero irritata con me stessa per l’imbarazzo che provavo, mentre lui era totalmente padrone di sé. Perché? Perché ero abbagliata, accidenti.
Lui mi lanciò un’occhiata e la sua postura – quasi in ginocchio di fronte a me – mi destabilizzò ulteriormente. Nel rialzarsi mantenne gli occhi nei miei. «È sicura di stare bene? Dovrebbe sedersi un attimo.»
Avvampai. Che fortuna apparire goffa e impacciata di fronte all’uomo più bello e sicuro di sé che avessi mai incontrato! «Ho solo perso l’equilibrio. Sto bene.»
Distolsi lo sguardo e vidi la brunetta a cui si era rovesciata la borsa. Dopo aver ringraziato l’addetto alla sicurezza che l’aveva aiutata, si voltò per venire da me, profondendosi in scuse. Mi girai verso di lei e feci il gesto di porgerle la manciata di monetine che avevo raccolto, ma la sua attenzione era stata nel frattempo calamitata dal dio in giacca e cravatta, per cui io venni subito dimenticata. Attesi un attimo, quindi mi protesi e lasciai cadere i soldi nella borsa della donna. Poi arrischiai un’altra occhiata all’uomo, scoprendo che mi stava guardando, mentre la brunetta si stava profondendo in ringraziamenti: a lui, naturalmente, non certo a me, la persona che si dava il caso l’avesse aiutata davvero.
Mi intromisi. «Posso avere il mio badge, per favore?»
Lui me lo porse. Mi sforzai di prenderlo senza toccargli la mano, ma le sue dita sfiorarono le mie e io mi sentii di nuovo percorrere da quella scossa.
«Grazie» mormorai prima di dribblarlo e precipitarmi in strada. Mi fermai sul marciapiede e feci un profondo respiro.
Colsi il mio riflesso nei finestrini di un elegante SUV Bentley nero parcheggiato davanti all’edificio: avevo ancora il volto arrossato e gli occhi luccicanti. Avevo già visto quello sguardo: nello specchio del bagno, subito prima di andare a letto con un uomo. Era il mio sguardo “ho voglia di scopare”, e non andava assolutamente bene che si fosse dipinto sulla mia faccia proprio in quel momento. “Maledizione, controllati.”
Cinque minuti con Mr Tenebroso e Fatale ed ero già piena di un’energia che mi rendeva irritabile e inquieta. Sentivo ancora l’attrazione che quell’uomo esercitava su di me, l’inspiegabile impulso di tornare dentro, da lui. Mi sarei potuta inventare la scusa che non avevo finito di fare ciò per cui ero andata al Crossfire, ma sapevo che più tardi mi sarei presa a calci se l’avessi fatto. Quante volte mi sarei resa ridicola quel giorno?
«Basta» mi rimproverai sottovoce. «Dacci un taglio.»
Ci fu uno strombazzare di clacson nel momento in cui un taxi tagliò la strada a un altro e poi frenò bruscamente quando alcuni audaci pedoni attraversarono l’incrocio pochi istanti prima che il semaforo diventasse rosso. Seguirono grida, imprecazioni e gestacci, che però non trasmettevano una rabbia reale. Tutti avrebbero dimenticato quell’episodio nel giro di pochi secondi: solo una trascurabile interruzione del ritmo naturalmente frenetico della città.
Mentre mi dirigevo verso la palestra, confusa nella folla dei pedoni, sorridendo mi venne da pensare: “Ah, New York, sei grande”.
Avevo programmato di riscaldarmi sul tapis roulant e di finire l’ora con qualche altro attrezzo, ma quando vidi che stava per cominciare una lezione di kick boxing per principianti mi accodai al gruppo in attesa. Al termine della lezione mi sentivo di nuovo me stessa. Mi tremavano i muscoli per quella giusta dose di fatica e sapevo che, buttandomi sul letto più tardi, mi sarei addormentata profondamente.
«Hai lavorato davvero bene.»
Mi asciugai il sudore dal viso con una salvietta e guardai il giovane uomo che mi aveva rivolto la parola. Alto e magro, ma muscoloso, aveva penetranti occhi castani e una pelle color caffellatte priva di imperfezioni. Le ciglia erano lunghe e invidiabilmente folte, mentre la testa era rasata.
«Grazie.» Feci una smorfia. «Si vedeva che era la mia prima volta, eh?»
Lui sorrise e mi tese la mano. «Parker Smith.»
«Eva Tramell.»
«Hai una grazia naturale, Eva. Con un po’ di allenamento potresti davvero diventare forte. In una città come New York sapersi difendere è un imperativo.» Mi indicò la bacheca di sughero appesa alla parete: era coperta di biglietti da visita e volantini attaccati con le puntine da disegno. Strappò un tagliando dal fondo di un foglio fosforescente e me lo diede. «Hai mai sentito parlare del krav maga?»
«In un film con Jennifer Lopez.»
«Io lo insegno e mi piacerebbe insegnarlo a te. Qui trovi il mio sito Internet e il numero di telefono della mia palestra.»
Apprezzai il suo approccio: diretto, come il suo sguardo. E il suo sorriso era sincero. Mi domandai se stesse cercando di rimorchiarmi, ma Parker fu abbastanza abile da lasciarmi con il dubbio.
Incrociò le braccia sul petto, offrendomi la visione dei suoi bicipiti scolpiti. Indossava una canotta nera, pantaloncini al ginocchio e Converse dall’aria logora e comoda. Dallo scollo della maglietta spuntavano alcuni tatuaggi tribali. «Gli orari sono sul mio sito. Dovresti passare a dare un’occhiata, per vedere se la cosa fa per te.»
«Ci penserò senz’altro.»
«Fallo.» Mi tese di nuovo la mano: la sua stretta era forte e sicura. «Spero di vederti.»
Quando rincasai, nell’appartamento c’era un profumo favoloso e la voce di Adele che cantava Chasing Pavements risuonava dalle casse dello stereo. Lanciai un’occhiata in cucina e vidi Cary muoversi al ritmo della canzone, mentre mescolava qualcosa sul fornello. Sul bancone c’erano una bottiglia aperta e due calici, uno dei quali era pieno a metà di vino rosso.
«Ciao. Che cosa cucini? Ho tempo per una doccia?» gli chiesi, avvicinandomi per salutarlo.
Cary versò un po’ di vino nell’altro calice, che poi fece scivolare verso di me sul bancone con un movimento esperto ed elegante. Guardandolo, nessuno avrebbe immaginato che avesse trascorso l’infanzia tra una madre drogata e diverse famiglie affidatarie e l’adolescenza in strutture di detenzione minorile e riformatori. «Pasta al ragù. Aspetta a farti la doccia: la cena è pronta. Ti sei divertita?»
«Quando sono arrivata in palestra, sì.» Tirai verso di me uno degli sgabelli di tek e mi sedetti. Gli raccontai della lezione di kick boxing e di Parker Smith. «Vuoi venire con me?»
«Krav maga?» Cary scosse la testa. «È roba tosta. Mi riempirei di lividi e perderei il lavoro. Ma ti accompagnerò per dare un’occhiata, nel caso in cui quel tizio fosse un balordo.»
Lo osservai scolare la pasta. «Un balordo, eh?»
Mio padre mi aveva insegnato molto bene a decifrare gli uomini ed era proprio per questo che sapevo che il dio in giacca e cravatta significava problemi. La gente normale di solito fa un sorriso simbolico quando aiuta qualcuno: contatto momentaneo che allenta la tensione.
Del resto, nemmeno io gli avevo sorriso.
«Ehi, piccola» disse Cary prendendo le fondine dalla credenza «sei una donna sexy, favolosa. Un uomo che non ha le palle per chiederti di uscire in modo diretto mi insospettisce.»
Arricciai il naso.
Lui mi mise di fronte il piatto: tagliolini coperti da un grumo striminzito di salsa di pomodoro con pezzetti di manzo e piselli. «Hai qualcosa in mente. Di che cosa si tratta?»
Mmh… Presi la forchetta e decisi di non fare commenti riguardo al cibo. «Credo di essermi imbattuta nell’uomo più sexy del pianeta, oggi. Forse l’uomo più sexy nella storia del mondo.»
«Ah, sì? Pensavo di essere io. Raccontami.» Cary rimase in piedi dall’altra parte del bancone.
Aspettai che lui addentasse un paio di bocconi del suo intruglio prima di avere il coraggio di assaggiarlo anch’io. «Non c’è molto da dire, davvero. Sono finita per terra nell’atrio del Crossfire e lui mi ha dato una mano a rialzarmi.»
«Alto o basso? Biondo o moro? Snello o muscoloso? Colore degli occhi?»
Mandai giù un boccone aiutandomi con un sorso di vino. «Alto. Moro. Snello e muscoloso. Occhi blu. Schifosamente ricco, a giudicare dagli abiti e dagli accessori. E incredibilmente sexy. Sai com’è… Ci sono tipi attraenti che non ti mandano in subbuglio gli ormoni e ci sono tipi non attraenti che hanno un sex appeal da paura. Lui è entrambe le cose.»
Avvertii la stessa stretta allo stomaco sentita quando Mr Tenebroso e Fatale mi aveva rivolto la parola per la prima volta. Nella mia mente rividi il suo volto mozzafiato con cristallina chiarezza. Avrebbe dovuto essere vietato a un uomo di essere così bello.
Cary si protese verso di me, appoggiando i gomiti sul bancone, la frangia lunga che copriva uno dei suoi vivaci occhi verdi. «Allora, cos’è successo dopo che ti ha aiutata a rialzarti?»
Mi strinsi nelle spalle. «Niente.»
«Niente?»
«Me ne sono andata.»
«Cosa? Non hai flirtato con lui?»
Mangiai un altro boccone di pasta. In verità, la cena non era male. Oppure ero semplicemente affamata. «Non era il tipo di uomo con cui si flirta, Cary.»
«Non esistono uomini con cui non si possa flirtare. Anche quelli felicemente sposati apprezzano un po’ di innocenti smancerie ogni tanto.»
«Non c’era niente di innocente in quel tizio» gli dissi secca.
«Ah, uno di quelli.» Cary annuì con aria saggia. «I cattivi ragazzi possono essere divertenti, se non ti ci avvicini troppo.»
Lui lo sapeva bene: uomini e donne di tutte le età gli cadevano ai piedi. Eppure, chissà come, riusciva sempre a scegliersi il partner sbagliato. Era uscito con stalker, bugiardi, amanti che avevano minacciato di suicidarsi per lui e altri che erano regolarmente fidanzati e non glielo avevano detto… Bastava nominare una categoria, e lui ci era passato.
«Chissà perché non riesco a immaginarmi questo tizio come uno divertente» dissi. «È troppo intenso. Eppure, scommetto che, con tutta quell’intensità, a letto sarebbe uno schianto.»
«Questo sì che è parlare! Dimenticati del tizio in carne e ossa. Limitati a usare il suo volto nelle tue fantasie e rendilo perfetto lì.»
Io, per la verità, preferivo togliermelo completamente dalla testa, così cambiai argomento. «Hai qualche provino domani?»biancheria intima e di un profumo.
Sgombrando la mente da qualunque altro pensiero, mi concentrai su di lui e sul suo crescente successo. Cary Taylor era sempre più richiesto, e presso fotografi e clienti si era fatto la fama di professionista serio e preparato. Ero eccitata per lui, e molto orgogliosa. Aveva fatto strada dopo aver superato tante difficoltà.
Fu solo dopo cena che notai due grossi pacchi dono sul divano.
«Cosa sono?»
«Quelli» rispose Cary, raggiungendomi nel salotto «sono il top.»
Capii subito che provenivano da mia madre e da Stanton, il suo terzo marito. Il denaro era qualcosa di cui mia madre aveva bisogno per essere felice e io ero contenta che Stanton fosse in grado di soddisfare quella sua necessità, insieme alle numerose altre che aveva. Mi ero spesso augurata che la cosa potesse finire lì, ma mia madre aveva sempre avuto difficoltà ad accettare che io non avessi la sua stessa considerazione del denaro. «Che c’è adesso?»
Cary mi mise un braccio intorno alle spalle, cosa piuttosto facile per lui, che era più alto di me di parecchi centimetri. «Non fare l’ingrata. Lui ama tua madre. Adora viziarla, e lei adora viziare te. Per quanto la cosa non ti piaccia, lui non lo fa per te. Lo fa per lei.»
Sospirando, non potei fare altro che dargli ragione. «Che cosa sono?»
«Abiti per la cena di beneficenza di sabato, incantevoli. Un vestito che su di te sarà uno schianto e uno smoking Brioni per me, perché comprare regali a me è ciò che lui fa per te. Sei molto più tollerante quando ci sono accanto io ad ascoltarti mentre brontoli.»
«È maledettamente vero. Grazie a Dio, lui lo sa.»
«Certo che lo sa. Stanton non sarebbe un multimilionario se non sapesse tutto.» Cary mi prese la mano e mi diede uno strattone. «Forza, da’ un’occhiata.»
La mattina successiva entrai nell’atrio del Crossfire alle nove meno dieci. Volendo fare la migliore impressione in quel primo giorno di lavoro, avevo scelto un semplice tubino, accompagnato da un paio di décolleté nere, che mi ero infilata al posto delle scarpe da ginnastica mentre salivo in ascensore. Grazie all’abilità di Cary, i miei capelli biondi erano raccolti in un elaborato chignon a forma di otto: mentre io ero totalmente incapace di pettinarmi, lui era in grado di creare acconciature che erano autentici capolavori. Indossavo la collana di perle che mio padre mi aveva regalato per la laurea e il Rolex dono di Stanton e di mia madre.
Mi era venuto il dubbio di aver curato troppo il mio aspetto, ma non appena avevo messo piede nell’atrio e ricordato la mia caduta a terra in tuta, ero stata ben contenta di non assomigliare affatto a quella ragazza sgraziata. I due addetti alla sicurezza all’ingresso non avevano fatto mostra di riconoscermi quando avevo esibito velocemente il mio badge e mi ero avviata ai tornelli.
Venti piani dopo uscii sul pianerottolo della Waters, Field & Leaman. Di fronte a me c’era una parete di vetro blindato che incorniciava la porta a doppio battente della reception. L’addetta seduta al bancone a mezzaluna vide il badge che le mostrai al di là del vetro e premette il pulsante di apertura della porta.
«Ciao, Megumi» la salutai, ammirando la sua giacca color mirtillo. L’avevo già conosciuta, in occasione dei precedenti colloqui. Era una ragazza di sangue misto, sicuramente in parte asiatico, ed era molto carina. Aveva i capelli scuri e folti, tagliati in un elegante caschetto più corto sulla nuca e scolpito sul davanti. Gli occhi a mandorla erano castani e caldi, le labbra piene e di un rosa naturale.
«Ciao, Eva. Mark non è ancora arrivato, ma tu sai dove devi andare, vero?»
«Sì, certo.» Le feci un cenno con la mano, imboccai il corridoio a sinistra del bancone e lo percorsi fino alla fine, dove, dopo un’altra svolta a sinistra, raggiunsi un ex open space ora suddiviso in tanti cubicoli. Uno di essi era il mio e mi ci diressi.
Lasciai cadere la borsetta e il sacchetto che conteneva le scarpe da ginnastica nell’ultimo cassetto della spartana scrivania di metallo e accesi il computer. Avevo portato un paio di oggetti per personalizzare il mio spazio e li tirai fuori. Il primo era un collage di tre foto all’interno di una stessa cornice: Cary e io a Coronado Beach, mia madre e Stanton sullo yacht di lui in Costa Azzurra, e mio padre a bordo della sua auto della polizia a Oceanside, in California. Il secondo era un bouquet colorato di fiori di vetro che Cary mi aveva dato quella mattina come “regalo del primo giorno”. Lo misi accanto al collage di foto e mi sedetti per vedere l’effetto.
«Buongiorno, Eva.»
Balzai in piedi di fronte al mio capo. «Buongiorno, Mr Garrity.»
«Chiamami Mark e dammi del tu, per favore. Vieni nel mio ufficio.»
Lo seguii lungo il corridoio, pensando che era un uomo molto attraente con la sua luminosa pelle scura, il pizzetto curato e i sorridenti occhi castani. Aveva la mascella squadrata e un affascinante sorriso sghembo. Era slanciato e in forma, e camminava con una sicurezza che ispirava fiducia e rispetto.
Mi indicò una delle due sedie di fronte alla scrivania di vetro e metallo e aspettò che mi sedessi prima di accomodarsi sulla sua poltrona. Contro uno sfondo di cielo e grattacieli, sembrava un uomo affermato e potente. In realtà, era solo un junior account manager e il suo ufficio era uno spogliatoio in confronto a quelli occupati dai consiglieri di amministrazione e dai dirigenti, ma non si poteva non apprezzarne la vista.
Lui si appoggiò allo schienale della poltrona e sorrise. «Ti sei sistemata nel tuo nuovo appartamento?»
Mi sorprese che se ne ricordasse, e lo apprezzai. Lo avevo conosciuto durante il mio secondo colloquio e mi erano piaciuti i suoi modi diretti.
«Quasi del tutto» gli risposi. «Devo ancora disfare qualche scatolone.»
«Vieni da San Diego, vero? Bella città, ma molto diversa da New York. Ti mancano le palme?»
«Mi manca il clima asciutto. Ci vuole un po’ ad abituarsi all’umidità di qui.»
«Aspetta che l’estate cominci a farsi sentire.» Sorrise. «E così… è il tuo primo giorno e sei la mia prima assistente, perciò dobbiamo trovare l’affiatamento, a mano a mano che procediamo. Non sono abituato a delegare, ma sono sicuro che imparerò alla svelta.»
Mi sentii subito a mio agio. «Non vedo l’ora.»
«Averti al mio fianco è un grande passo avanti per me, Eva. Vorrei che tu fossi felice di lavorare qui. Bevi caffè?»
«Il caffè è tra le cose che preferisco.»
«Ah, l’assistente ideale!» Il suo sorriso si allargò. «Non ti chiederò di farmi il caffè, ma non mi dispiacerebbe se mi aiutassi a scoprire come funziona la macchinetta che hanno appena messo nella sala ristoro.»
Gli sorrisi. «Nessun problema.»
«Purtroppo non ho nient’altro da farti fare in questo momento.» Si grattò il collo, imbarazzato. «Vuoi che ti faccia vedere su quali clienti sto lavorando e che partiamo da lì?»
Il resto della giornata trascorse in modo confuso. Mark prese contatto con un paio di clienti ed ebbe una lunga riunione con il team creativo che lavorava sulle idee di base per la promozione di una scuola professionale. Mi affascinò vedere così da vicino come i vari reparti si passassero il testimone per portare una campagna pubblicitaria dall’ideazione alla realizzazione. Quando mancavano dieci minuti alle cinque, il telefono della mia postazione squillò.
«Ufficio di Mark Garrity. Sono Eva Tramell.»
«Porta a casa il culo, così possiamo andare a bere quel drink che hai rimandato ieri.»
La finta severità di Cary mi fece sorridere. «Okay, arrivo.»
Spensi il computer e me ne andai. Quando raggiunsi gli ascensori, tirai fuori il cellulare e digitai un veloce SMS a Cary: “Sono per la strada”. Un trillo mi avvertì di quale ascensore si stava fermando al mio piano e mi spostai di fronte a esso, per poi riportare brevemente l’attenzione al cellulare e inviare il messaggio. Quando le porte si aprirono, feci un passo avanti. Alzai la testa e un paio di occhi blu incontrarono i miei. Mi si mozzò il fiato.
Il dio del sesso era il solo occupante dell’ascensore.
Aspettando "Riflessi di te"
Titolo: Riflessi di te
Autore: Sylvia Day
Editore: Mondadori
Data di pubblicazione: 19 febbraio 2013
N. pagine: 350
Trama:
Nonostante le difficoltà del loro rapporto, Gideon Cross, bello e perfetto fuori ma tormentato dentro, ed Eva Tramell, come lui con un passato doloroso alle spalle, sono ancora insieme. Lei è sempre più innamorata, non riesce a stargli lontano e anche lui pare contraccambiare, anche se l'ombra di una sua ex amante continua a suscitare la gelosia di Eva e numerose incomprensioni tra i due. Eva è convinta che tra loro non potrà mai funzionare, ma non riesce a sottrarsi al desiderio incontrollabile e all'amore disperato che li legano. Il comportamento di Gideon si fa però sempre più distaccato e misterioso. Che cosa nasconde davvero? È possibile per due persone come loro, legate da un'incandescente alchimia erotica, superare i traumi del passato e costruire una relazione duratura e profonda?
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